La fornace. Thomas Bernhard e il pensiero che uccide
Recensione di Martino Ciano
Konrad ha ucciso sua moglie. Lei era una donna malata, che non avrebbe mai voluto vivere nella fornace con le sue stanze ampie. Lei avrebbe preferito la casa in cui era cresciuta, perché era minuta e accogliente, ma quel luogo non ha mai fatto per Konrad, che ha sempre avuto bisogno di far vagare i suoi pensieri. Pensieri grazie ai quali ha scritto nella sua mente un saggio. Un saggio sull’udito, perché nessuno ha mai scritto un libro sul sentire. E lui vuole scriverlo, a tutti i costi; ce l’ha nella sua testa. Ce l’ha lì, tra i neuroni, tra i quali corre e scorre, viene editato, modificato, parzialmente cancellato e riscritto. Vorrebbe mettere tutto su carta, anzi prima o poi ci riuscirà, ma per metterlo su carta ha bisogno di silenzio, ma a quanto pare il silenzio è cosa rara nella fornace e intorno alla fornace. Eppure, lui ha dilapidato i suoi risparmi per acquistare questo “luogo” isolato.
La moglie di Konrad è morta, ma era morta anche quando viveva la sua esistenza da malata. Una persona malata contagia le cose e le persone, la sua presenza è nociva. Lei passava le sue giornate su una sedia a rotelle, comandava a bacchetta Konrad proprio nei momenti in cui pensava alla composizione del saggio. I pensieri parlano e quelli di Konrad parlano anche troppo. Sono logorroici. Lui prova a contrastarli con il suo flusso di coscienza. La sua voce interna si mischia a quella dei demoni che lo agitano. Ne viene fuori un’ironica catastrofe, in cui la vita si rincorre.
Apparso per la prima volta nel 1970, per anni rimasto “fuori catalogo”, ora ripubblicato da Adelphi. La fornace di Thomas Bernhard è il romanzo della follia evanescente, di una costante ribellione alla modernità, in cui la ricerca del silenzio e dell’isolamento sono risposte al vuoto creato dal chiacchiericcio e dal perfezionismo. Konrad è una contraddizione, cerca il silenzio per scrivere un saggio sull’udito, sul sentire. L’unica cosa che sente chiaramente è quel suo flusso di pensieri che costruisce una logica dell’annientamento. I temi bernhardiani ricorrono anche qui, tra queste pagine. Konrad è un uomo geniale, un autodidatta che sfida l’accademismo, che fa da sé per non cadere preda del pensiero altrui. Il suo omicidio? Una necessità, che sembra quasi riprendere quanto suggerito dal Raskol’ Nikov di Delitto e Castigo di Dostoevskij, ossia ci sono uomini superiori che pur di far valere le proprie idee, idee che fanno progredire l’umanità, hanno il diritto di usare ogni mezzo.
Ma qual è l’idea di Konrad? La scoprirete leggendo. Questo è uno dei romanzi più inquietanti di Bernhard. Non tocca le vette dell’inarrivabile Perturbamento, ma si insinua tra quella necessità di far correre la follia lungo percorsi creativi e la voglia di raccontare l’umana tragedia quotidiana. L’omicidio di Konrad è un atto di rivendicazione in risposta a quel saggio che lui non è riuscito a scrivere, ma che è rimasto imprigionato nella sua mente, così come il suo corpo è rimasto imprigionato nella fornace.