La credenza

La credenza

Racconto e foto di Adriana Sabato

Oggi ho spostato la credenza, l’armadio, non la fede ché quest’ultima si muove continuamente da sola senza bisogno di spinte eccessive. No, proprio il mobile, quella grossa catasta di legna ben assemblata presente in tutte le case che serve a contenere, ad accogliere fra le sue braccia il nulla! Apro: servizi di piatti che non useremo mai, servizi di bicchieri che, pure quelli non servono a niente! In gioventù forse qualcheduno di questi inutili oggetti lo abbiamo adoperato e si vede perché qualche piatto è sbeccato e qualche bicchiere pure. Ma il resto?

Ora che abbiamo una certa età e non ce ne importa più di organizzare pranzi e cene (se non rare volte e con pochissime persone). Ora, mi domando e domando: a che servono queste cose? Quasi quasi le metto in vendita, ammesso che qualcuno le voglia; ma ne dubito assai, e se voglio reggere il gioco li devo tenere, altrimenti che ci sta a fare la credenza?

Ci hanno insegnato, specie a noi femminucce, che dobbiamo avercelo il servizio di piatti, quello “buono”, ché se viene qualcuno lo possiamo, anzi, lo dobbiamo ospitare con i controfiocchi. Però c’è un dilemma col quale non abbiamo fatto i conti. E se non so cucinare? Che faccio? Che ne faccio del servizio di piatti e di bicchieri? Che io sia giovane o di una certa età, il problema si pone… ma che vagabonda nullafacente! Non sai nemmeno cucinare e non ti va nemmeno di imparare! Mi sembra di sentirla la voce di quel deficiente che mi punta sempre il dito addosso!

Ma perché, tu sai cucinare? Sai tenere un mestolo in mano? No, perché sei maschietto e tua madre ti ha insegnato ad essere servito e riverito e di metterti il mestolo in mano non l’ha proprio manco immaginato: scandaloso il solo pensarlo, vergognoso il proferirlo. Sai cucinare un piatto di pasta? No: piuttosto resti a stomaco vuoto oppure pensi di comprare un piatto pronto ma di cucinare manco il pensiero!

Adesso mi viene da ridere: sta a vedere che io so cucinare e almeno non resto a stomaco vuoto e tu che parli tanto, manco un mestolo in mano sai tenere… Che tenerezza!

Torno alla mia vecchia credenza. L’ho dapprima svuotata: ho tolto i cassetti, poi ho tolto gli oggetti più delicati, quelli di cristallo, tutto ciò che si potrebbe rompere insomma, e poi ho tolto la pianta che campeggia lassù, e pare che guardi cosa avviene sotto e sembra che anch’essa voglia dire la sua. Poi ho aperto gli altri sportelli e ho guardato: ho scoperto che potrei anche non svuotarla del tutto, perché tanto il suo contenuto non è proprio fragile come sembra. E poi, chissenefrega se qualcosa si rompe: è tutta roba inutile!

Ma no, e altrimenti che ci sta a fare la credenza?

Insomma alla fine l’ho smontata in due pezzi, la credenza. E sì perché c’è la parte superiore, quella con i vetri, che è “legata” alla parte inferiore, quella più panciuta, più capiente con una specie di staffa. Poi l’ho sollevata con l’aiuto di altre braccia e l’ho scesa giù per terra, la credenza: così, solo così ho potuto farla passare nell’altra stanza sollevandola come corpo morto e poi, depositandola di nuovo sulla sua parte panciuta, che intanto ho fatto trascinare nel punto di arrivo, nel nuovo sito, con tanta delicatezza che manco un bambino appena nato ha ricevuto! Ecco che il contenitore delle robe inutili ha trovato una diversa sistemazione e ancora mi domando: che ci sta a fare la credenza se alla fine contiene solo cose inutili? Io prenderei un’ascia e la farei a mille pezzi e poi la getterei giù dalla finestra con tutte le sue robe inutili dentro.

Eppure c’è e ci deve stare, la credenza!

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