La cenere tra i ricordi

La cenere tra i ricordi

Racconto e foto di Martino Ciano

Interrogami ancora un po’ davanti a questo incendio, mentre bruciano la collina e il casolare in cui nessuno è più tornato dal 1968. Lì sei nata e per pochi anni sei cresciuta; ti sei fatta bambina, hai ricevuto il dono della parola, hai iniziato a reggerti sulle gambe. Poi sei andata via, strappata dalla necessità di una vita senza restrizioni. I tuoi genitori hanno sbarrato porte e finestre e nessuna voce ha più attraversato quelle tre stanze. Solo polvere nel vuoto, disordine del fato e silenzio. Sono rimasti però gli scarabocchi che facevi sui muri con le penne colorate; ora stanno diventando cenere.

Interrogami ancora un po’ davanti al mare che ti ha insegnato ad amare, dove il corpo ha perso l’innocenza e dove l’innocenza si è trasformata in vanità. Hai goduto un attimo e sei diventata madre per sempre; una volta è bastata, una gioia severa si è impadronita della tua carne. L’hai sentito scivolare lungo tutto il tuo corpo il piacere, l’unica cosa che ricordavi di quell’uomo, l’unica cosa che ti faceva sorridere e che avresti voluto rivivere.

E come è stata quella volta, amica mia? Vorrei chiedertelo anche oggi. Quando azzardai quella domanda per la prima volta, mi rispondesti che fu un momento di poche sillabe, di sguardi essenziali, di frettolosi sospiri. La felicità per te è stata poi il pianto del tuo bambino che tra la bocca e il naso aveva una chiazza simile a una fragola. Poi è cresciuto e con lui è cresciuta in te anche la malinconia; a ogni suo compleanno tu pensavi al distacco.

Di due cose mai ci si libera: di un amore sospeso e di un dolore che poteva essere evitato. T’abbandonò quell’uomo da un giorno all’altro, non si è mai sentito padre; t’abbandonò tuo figlio, ma solo per andare a lavorare altrove; per te però ogni sua partenza è stata un addio e ogni suo ritorno ti ha fatto pensare a quando gli avresti dovuto dire di nuovo addio. E gli addii si pagano come si sconta la vita ogni volta che la sofferenza ci ruba un pezzo di umanità.

Interrogami ancora un po’ ora che non ci sei più. Parlami come quando mi insegnasti ad attendere la morte. “Quale morte? La morte non esiste”, dicevi negli ultimi mesi della tua vita. Eppure, la malattia ti aveva scavata in fretta, ti aveva disintegrato il cuore ma non la dignità. “La malattia… la malattia fa schifo!”, questo hai affermato fino al giorno prima in cui la tua bocca ha taciuto per sempre.

Bruciano ancora la collina e il casolare in cui nessuno è più tornato dal 1968. Si è fatto cenere il legno della porta e degli infissi. Porta via il vento questa prosa prodotta dai miei pensieri, qualcuno di essi è rimasto impigliato tra i capelli. Sebbene tutto passi, qualcosa di noi resta in gesti, in parole, in sogni, in umanità; ci incatena al mondo la paura, troppo spesso dilapidiamo i momenti in cui tutto è presente a noi.

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