La casa delle madri. Daniele Petruccioli e ciò che abbiamo vissuto
Recensione di Gianfranco Cefalì. In copertina: “La casa delle madri” di Daniele Petruccioli, TerraRossa edizioni, 2020
È tanto che non entro a casa dei miei nonni. Abitazioni oramai rabberciate, chiuse, rese inagibili dal tempo che passa e dall’incuria che purtroppo si è loro rivolta contro. Eppure ricordo bene gli spazi, la luce, gli odori, le forme. Ripenso a quelle figure canute che mi avvolgevano. Mio nonno ai miei occhi di bambino, altissimo e mia nonna sempre china a fare qualcosa. Ricordo il sottoscala dove mio nonno prendeva le bottiglie di birra per poi ricollocarne i vuoti a rendere. Il piccolo giardino che per noi nipoti era grandissimo, con le ortensie blu, viola, la lenta tartaruga, la piccola porta verso quel mondo altro. Oppure la casa di mia nonna paterna, stretta, con il bagno ricavato sul piccolo terrazzo, le piante di basilico nei fusti riciclati da non ricordo cosa.
L’odore del sugo, della pasta riscaldata, il perenne odore di fumo del camino, sempre acceso, durante le stagioni fredde. E le storie, quelle nostre di nipoti, quelle dei miei genitori come figli e quelle povere, dignitose, forti dei miei nonni. Sono case, queste, che hanno contrassegnato quasi tutte le domeniche della mia infanzia, della mia giovinezza, che hanno sempre avuto il significato di unione, di famiglia, di storie.
Delle case dei miei genitori ricordo sensazioni, immagini più che corpo; in special modo quelle dell’infanzia.
Uno spiazzo, che sempre nel nostro essere bambini, sembrava immenso, in una casa che all’epoca poteva essere considerata di campagna, un bagno che si allaga in un’altra, una cucina che riceveva luce attraverso una stretta finestra che affacciava su di un piccolo vicolo; oppure l’ultima prima che ci trasferissimo nel piccolo paese di origine dei miei, che ritornerà nella mia vita adulta nella fattispecie di una casa nello stesso palazzo e nello stesso piano, speculare a quella dei miei genitori. Pensare a queste case equivale, inevitabilmente, a pensare a buona parte delle nostre vite.
La potenza evocativa di Daniele Petruccioli è forte, ci porta nelle vita, nella case di una generazione, e si concentra su di un nucleo familiare, su due gemelli. La storia è narrata attraverso le case che sono state abitate, e ogni protagonista si interfaccia, interagisce con queste in modo diverso. Qualcuno cercherà di fuggire, per qualcun altro sarà rifugio, oppure alcova, vorranno significare paura e gioia, ricordi, speranza, continua ricerca e affanni.
Ma anche i corpi, i corpi giovani o vecchi, atletici o sghembi possono essere considerati case da abitare. E come ogni casa, invecchia, accumula strati di polvere, alle volte viene modificata, ristrutturata. Una casa che ha un interno, la mente, anche quella soggetta alla intemperie della vita e che necessita di essere costruita e ricostruita mattone dopo mattone, strato dopo strato, ogni giorno, anzi, sicuramente tutta la vita fino alla morte.
Sarabanda, Speedy, Elia, Ernesto. Questi sono i quattro protagonisti di questo libro. Elia ed Ernesto i due gemelli (loro due sono il fulcro centrale della narrazione, e qui tra queste due parentesi potrei raccontarvi tutta la storia di questi due gemelli, parlarvi delle loro sofferenze, del loro legame indissolubile, dei loro contrasti, potrei usare tanti aggettivi, e nonostante l’impegno non riuscirei mai a restituirvi la magia del testo scritto dall’autore, inevitabilmente, sarebbe una semplice riduzione di qualcosa di più grande che dovreste leggere con i vostri occhi). Li seguiremo durante le loro vite che si intrecciano e si slegano agli altri personaggi e le case. Vivremo con loro il lento e inesorabile scorrere del tempo e della vita, la velocità di alcuni eventi, il cadere e rialzarsi degli uomini in una storia profonda e toccante, che ineluttabilmente sarà come uno specchio su cui ognuno di noi ne potrà scorgere un suo personale riflesso.
Petruccioli ha scritto un libro coraggioso. Non il coraggio degli impavidi, degli stolti, quello che porta all’esibizionismo fine a sé stesso, quello che porta al cosiddetto esercizio di stile. Il libro possiamo definirlo coraggioso perché dettato dalla maturità, dalla consapevolezza, consapevolezza data dalla grande capacità di scrittura dell’autore.
Contro un certo tipo di narrativa contemporanea, fatta di frasi brevi, poche subordinate, una scrittura semplice che sembra non voler disturbare il lettore, che vuole masticare preventivamente il cibo per farlo digerire meglio, l’autore usa uno stile molto ispirato, pieno, con l’uso di subordinate, incisi e parentesi, che daranno frasi lunghe e ricche. E tutto questo non viene usato per esibizionismo, no, tutto è funzionale alla storia. Ci troveremo davanti una narrazione in terza persona, onnisciente e gli incisi, le parentesi servono non solo a specificare meglio un determinato concetto, ma hanno una funzione di scavo oltre la superficie, un indagare sempre più a fondo quella che può essere la mente umana. Ci troveremo così di fronte a piccole o grandi precisazioni nei pensieri dei protagonisti che ci serviranno a darci un’idea ancora più profonda della vita, dei turbamenti e dei forti contrasti che nascono all’interno del nucleo familiare.
Un ultimo concetto mi è venuto in mente dopo la lettura di questo libro: la stratigrafia. Cito dalla Treccani per non sbagliare: “Lo studio della natura e delle caratteristiche del terreno attraverso l’esame degli strati susseguentisi in profondità. […] Lo studio delle rocce sedimentarie e dei fossili in esse contenuti hanno sempre costituito il più accessibile campo di osservazioni e di riflessioni per stabilire la successione degli eventi geologici”.
Ecco, come per gli eventi geologici, anche per gli eventi che riguardano la famiglia, le persone, dobbiamo osservare e studiare tutti gli strati per riuscirne a capire la loro storia, le loro vite, i loro pensieri, questo libro lo fa in modo magistrale.
P.S. Per curiosità dopo la lettura del libro sono andato a cercare l’etimologia dei nomi dei protagonisti. Fatelo anche voi, capirete che nulla è lasciato al caso.