La bava di un tramonto
Racconto di Antonella Perrotta
Osservi il mare in lontananza, una macchia celeste che si confonde col cielo. Neanche la linea dell’orizzonte è netta, immersa e spersa nella calura che opprime pelle, carne, sensi, cervello.
Abbandonata su una sdraio in giardino, l’estremità del ramo di una quercia per parasole, te ne stai incapace di pensare. Solo un moto di rabbia ti macera dentro. Neanche una forma e un nome sai dargli. Rabbia, soltanto rabbia. E che senso ha nutrirla se non puoi sfogarla, se, di sfogarla, non ne hai la forza e nemmeno sai se vorresti averla davvero.
Provi a gridare, ma solo un raschio viene fuori dalla gola. Non scalfisce l’aria. Non dà soddisfazione. Sembra il verso di un gatto malato che cerca d’attirare l’attenzione di qualcuno.
Il rumore di piatti e bicchieri giunge nitido alle orecchie. È un tintinnio nell’aria ferma. Tua sorella sta preparando la tavola per la cena, fra le bouganville fiorite che tingono di viola lo squarcio di cielo sul giardino. Bicchiere, piatto piano, piatto fondo, tovagliolo, posate e così per cinque volte, per cinque posti.
Nella posa di ogni bicchiere, piatto piano, piatto fondo, tovagliolo, posata, vedi un’azione precisa, calcolata e preventivata, ma compiuta con estrema naturalezza.
Un pensiero ti affiora, miracolato, nella calura. Dai una forma alla tua rabbia: una tavola apparecchiata per la cena, per chi vorrà mangiare chi e cosa con le labbra e le mani unte, un brindisi alla vittoria che si fa beffe della sconfitta altrui, un rutto che non ha vergogna a venir fuori, sonoro, cafone, beffardo, e chi se ne frega dell’educazione e del rispetto, ché l’aria deve pur uscire da qualche parte.
C’è chi mangia e chi è mangiato. C’è chi prende e c’è chi dà. C’è chi apparecchia e fa di tutto per sedersi alla tavola e chi mangia un panino quando ne ha voglia, in piedi, seduto, con le mani, con o senza il tovagliolo, un po’ come gli va.
Ognuno gestisce la vita come gli viene meglio. E chissà chi fa male e chi fa bene, chi ha ragione e chi ha torto ché, il torto e la ragione, non sono altro che punti di fuga in una prospettiva più ampia che segue le regole di chi osserva.
Poi, una mano ti accarezza il collo. Il fiato di una bocca lo riscalda. La voce gioiosa e rassicurante di tua sorella urla: “È pronto!”, mentre il sole va a nascondersi e i colori delle bouganville sono smorzati dalla luce del tramonto.
La rabbia, ora, sa del niente che l’ha nutrita. Non si può provare rabbia per una tavola imbandita col niente, spoglia di sostanza, di entusiasmo, di voci sincere, di fiato caldo e di carezze. Non si può provare rabbia di fronte all’impotenza del sentire. Non si può provare rabbia per chi sa apparecchiare, ma non si sa nutrire.
E i rossi del tramonto calano come bava sul mare. E ti alzi dalla sdraio col cuore leggero. Canti con la voce pulita di un gatto risuscitato ancora una volta e speri che non sia l’ultima.