Jorge Luis Borges, per non dimenticare L’artefice
Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su Gli amanti dei libri
Leggere questo libro per la prima volta vuol dire entrare nella parte più intima di Borges, rileggerlo significa ridare senso a tutta la sua opera.
L’artefice di Borges viene riproposto da Adelphi dopo anni di immeritato oblio. I temi trattati dallo scrittore argentino sono sempre gli stessi: il tempo, l’io, la relazione tra Dio e l’uomo, l’eternità, la multidimensionalità dell’essere.
L’essere non è il suo ente. Scrisse il filosofo tedesco Martin Heidegger, ebbene Borges sembra essere in parte d’accordo con questa affermazione, dall’altra prova a risolvere questo enigma posto già dai greci, con le armi della poesia e della prosa. Per lo scrittore argentino, infatti, tutto è stato già scritto e inventato. La storia si ripete in continuazione. Situazioni simili con accidenti diversi, ecco come descrive l’incedere degli anni. In questo meccanismo illogico l’uomo è spettatore e attore, carnefice e vittima. Borges lo spiega benissimo nei suoi brevi racconti.
In lui troviamo i germi della fantascienza di Philip Dick, anche se lo scrittore americano non ammise mai questo parallelismo. Anzi, come ci ricorda Emmanuel Carrére nel suo saggio dedicato all’autore di Ubik, Borges venne quasi snobbato.
L’artefice è un’opera interessante, da cui si può iniziare a scoprire lo scrittore argentino. Mi rivolgo soprattutto a coloro che non hanno letto nulla di Borges. Logicamente questo dev’essere l’inizio, perché senza l’approfondimento dell’arte letteraria dell’autore sudamericano, difficilmente si riuscirà a comprendere a pieno il suo complesso messaggio.
Vicino a L’artefice bisogna anche inserire Finzioni e L’aleph, due libri che hanno fatto la storia della letteratura del novecento. Ancora oggi molti scrittori attingono da quel pensiero, ma non lo dicono apertamente. Su questo punto ho una mia personalissima idea. Borges è stato un intellettuale scomodo.
Mi conosco affatto indegno di opinare in materia politica, ma forse mi sarà consentito di aggiungere che diffido della democrazia, questo curioso abuso della statistica.
Questa frase bastò per farlo cadere per anni in classistiche denigrazioni che, al di là delle opinioni personali, ne hanno macchiato anche l’opera e il pensiero. Di qui una certa insofferenza verso libri che non si possono dimenticare e che dovrebbero diventare patrimonio del nostro essere.