Cristina Trivulzio di Belgiojoso. Storia di una donna che unì l’Italia
Articolo di Letizia Falzone. In copertina: dettaglio del dipinto di Francesco Hayez, Public domain, via Wikimedia Commons.
Una giovane donna pallida e bruna con grandi occhi timidi che vogliono trattenere il mondo e un abito bianco ampio e avvolgente che lascia indovinare un corpo giovane e ardito. Una donna audace che non teme ostacoli e difficoltà. Giornalista appassionata, scrittrice colta, patriota indomita, permeata di un’aura di fascinazione e di mistero: questo, e molto altro, fu Cristina Trivulzio.
Nata a Milano il 28 giugno 1808 in una delle famiglie storiche dell’aristocrazia milanese: i Trivulzi.
Nel 1823 incontra il ventiquattrenne Emilio Barbiano di Belgiojoso, affascinante e scapestrato, dallo sguardo corsaro e dai modi galanti e rimane affascinata dalla sua audacia e dalla sua avvenenza. Lui è colpito da quella quindicenne alta e flessuosa, dal lungo collo che sorregge un volto di porcellana incorniciato da lucidi capelli neri e illuminato da malinconici occhi, ma ancor di più è attratto dal suo ingentissimo patrimonio, Cristina era infatti la più ricca ereditiera d’Italia. Nonostante molti provino a dissuaderla dallo sposarlo, Cristina non vuole sentir ragioni e le sontuose nozze si celebrano il 24 settembre 1824. Il matrimonio però si rivela ben presto infelice e questo non giova alla sua salute: le crisi epilettiche di cui soffre fin da bambina si fanno sempre più frequenti; il corpo, già magrissimo, si fa diafano e lo sguardo spiritato. Scopre inoltre di essere affetta dalla sifilide, regalo del suo scriteriato marito che la tradisce impunemente, e allora, dignitosamente, chiede la separazione.
È sconfortata e umiliata, ma reagisce convogliando il suo ardore verso gli ideali patriottici. Si iscrive alla Giovine Italia di Mazzini e alla Carboneria e la sua intelligenza vivace e progressista, l’allure misteriosa e la sua foga patriottica conquistano molti intellettuali votati alla causa risorgimentale. Cristina è un’attivista militante e invia clandestinamente somme cospicue ai patrioti per acquistare armi e sovvenzionare rivolte; l’Austria per ripicca comincia a diffondere di lei l’immagine di una femme fatale dai molti amanti, crudele e viziosa.
La sua fama, la sua posizione sociale e la sua scaltrezza la salvarono più volte dall’arresto. Milano e i pettegolezzi seguiti alla sua situazione matrimoniale, la spinsero a spostarsi a vivere altrove. Prima a Genova, dove conobbe e frequentò i salotti della marchesa Teresa Doria, fervente patriota. Visse poi a Napoli, a Roma, dove fece parte del circolo che ruotava attorno a Ortensia di Beauharnais, figlia di Napoleone I.
A Parigi, dove arrivò nel 1831, e dove all’inizio si ritrova «senza casa, senza tetto, senza cassa e senza letto» perché il governo austriaco le blocca tutti i beni che possiede nel milanese; lei scrive articoli infiammati a favore della causa risorgimentale e diventa editrice di giornali coraggiosi, come l’Ausonio in cui trovano spazio letteratura, informazione scientifica e politica.
Il 23 dicembre 1838 Cristina mette al mondo Marie, da padre sconosciuto, nel mentre accoglie nel suo elegante salotto il meglio della cultura, della politica e della mondanità parigine, vestita immancabilmente di bianco e addobbata di lugubri coralli neri. Da lì passano tutti: Liszt (con cui intesse una breve e passionale relazione), Balzac (che ne è ossessionato e la definisce impenetrabile come la Gioconda), Hugo, Rossini, Stendhal (che si ispirò a lei nel creare il personaggio della duchessa Sanseverino nella Certosa di Parma), Bellini, Heine, che l’amò disperatamente per tutta la vita.
E lei, al pari di una seducente Circe, cattura, stordisce, abbandona. Quando, dopo dieci anni, torna in Italia, prende dimora a Locate, vicino Milano, in una bella villa di campagna, e lì si prodiga a finanziare la costruzione di asili, orfanotrofi e scuole, suscitando gratitudine fra gli umili, critiche fra i ricchi e persino l’ostilità del perbenista Alessandro Manzoni, che la emarginò come peccatrice e arrivò addirittura a negarle la possibilità di recare l’ultimo saluto al capezzale della madre Giulia Beccaria, a cui era molto legata.
Morì il 5 luglio 1871, a 63 anni.
Al suo funerale non partecipò nessuno dei politici dell’Italia, che lei così generosamente aveva contribuito a unire.
Cristina Trivulzio di Belgiojoso, l’ereditiera più ricca d’Italia, ebbe il coraggio di sfidare l’Austria e la sua polizia, organizzò un battaglione a Napoli per contribuire alle Cinque Giornate di Milano, partecipò alla difesa della Repubblica Romana. Col suo patrimonio ha finanziato rivolte e persone; ha vissuto come una principessa e da donna povera. Ha scritto articoli e libri, è stata editrice di riviste internazionali. È stata corteggiata dai più eminenti intellettuali del suo tempo. Ha costruito strutture sanitarie e scuole per le persone meno agiate.
Non si è mai piegata e arresa. Avrebbe potuto benissimo starsene nelle sue residenze e fare la vita della nobildonna, ma ha lottato, agito, scritto, vissuto come desiderava. È stata un grande esempio di coraggio e determinazione. Per tutta la sua esistenza ha sfidato le convenzioni e costrizioni in un mondo concepito soltanto per gli uomini. Una donna libera, audace, che non si è fatta mai scoraggiare dagli ostacoli che la società le poneva davanti.
Il suo carisma, la sua popolarità, la sua eccentricità, i suoi eccessi, la sua straordinaria umanità, i suoi scritti pubblicati, la sua vita sicuramente fuori dagli schemi ottocenteschi, il suo prodigarsi in ogni momento a favore della causa italiana, hanno fatto di lei un’eroina a tutto campo, un personaggio che continua ad affascinare anche oggi.
“Vogliano le donne felici e onorate dei tempi avvenire rivolgere tratto tratto il pensiero ai dolori e alle umiliazioni delle donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima goduta, forse appena sognata felicità!” scrisse alla fine della sua vita. Lei aveva sfidato tutte le convenzioni e aveva esercitato libertà ed eroismo in un mondo che le riconosceva solo come virtù maschili.