Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali. Intervista a Roberto Pozzetti
Intervista di Clelia Moscariello
Si chiama Roberto Pozzetti, si è laureato in Psicologia presso l’Università degli Studi di Padova. Nel 2001 si è specializzato in psicoterapia, all’Istituto Freudiano di Roma, con una tesi sulla pulsione nelle dipendenze. Aderisce alla Scuola Lacaniana di Psicoanalisi del Campo Freudiano. Oggi Pozzetti lavora come psicoanalista a Como, occupandosi di adulti, adolescenti e bambini. È anche Consulente Tecnico d’Ufficio del Tribunale di Como e Presidente dell’Associazione di Promozione Sociale “InOut”. È impegnato soprattutto sul fronte della risoluzione di problemi come attacchi di panico, ansia, fobie, disturbi sessuali e interrogativi sull’identità sessuale, disturbi ossessivo-compulsivi, difficoltà di coppia e problemi relativi alla separazione dei genitori, disturbi dell’alimentazione, problemi adolescenziali e preadolescenziali, nuove forme di addiction, disturbi psicosomatici e disturbi depressivi.
Roberto Pozzetti è anche autore di diversi testi: “Senza confini, Considerazioni psicoanalitiche sulle crisi di panico”, FrancoAngeli, Milano, 2007. “Tessere la cura. Elementi per la pratica della psicoanalisi”, Franco Angeli, 2018. “Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali”, Alpes Italia, 2021 e co-autore di “Civiltà e disagio. Forme contemporanee della psicopatologia”, Bruno Mondadori, Milano, 2006, e “Alcolismo e tossicodipendenza oggi”, Di Girolamo, 2010. “Gaia di nome. I disturbi alimentari nell’adolescenza”, Il Ciliegio, 2016. “Verità e segreti del Covid-19. Le ondate della pandemia”, Alpes Italia, 2021.
A proposito del suo ultimo libro, uscito solo da pochi mesi, “Bucare lo schermo. Psicoanalisi e oggetti digitali”, edito da Alpes Italia, il nostro psicoanalista e autore si interroga sul ruolo nella nostra esistenza delle nuove tecnologie digitali, rivolgendosi sia ai clinici interessati alle implicazioni della diffusione del digitale sulla pratica della psicoanalisi, che a genitori e docenti di bambini e adolescenti che si trovano spesso alle prese con gli oggetti digitali.
1) Salve Roberto, di cosa parla “Bucare lo schermo”?
«Parla della crescente digitalizzazione del mondo. Ne parla dal vertice delle relazioni educative (genitori – figli e insegnanti – allievi) e dal vertice della pratica clinica, nella quale da tempo si riscontra l’impatto dei dispositivi digitali. Si tratta di un argomento molto dibattuto, del quale mi occupo già da diversi anni, giunto al cuore delle vite e dell’interesse di tutti noi nei mesi del lockdown del 2020. Questa digitalizzazione sarebbe avvenuta comunque, anche se più lentamente; si è manifestata con un’accelerazione imprevista e determinata dalla pandemia. La diffusione del Covid e le restrizioni che ne sono scaturite sono eventi storici in grado di innescare la scintilla di un fenomeno esplosivo.
In questo volume vengono resocontate una serie di ricerche e di studi nazionali e internazionali sull’argomento; vengono considerati il vertice sociologico, quello filosofico e quello clinico. Viene riportata anche la mia stessa testimonianza diretta, come psicoanalista che si occupa molto di adolescenti e giovani, ma anche indiretta, come presidente di un’associazione rivolta a preadolescenti e a teenager, oppure come supervisore della pratica clinica di colleghi meno esperti. A proposito di esperienza diretta, vi sono anche alcuni paragrafi tratti del mio ruolo di papà che si confronta con altri genitori. Si tratta di un libro che sottolinea i rischi della diffusione dei dispositivi digitali con fenomeni come il cyberbullismo, il sexting o la dipendenza dalla pornografia ma che valorizza pure le risorse offerte da Internet quanto alla democratizzazione dell’accesso al sapere, quanto al servirsi di social network funzionali quali Trip Advisor, quanto alle opportunità di instaurare relazioni sociali.
Il mio libro tratta anche del futuro dei dispositivi digitali proprio in un momento politico nel quale, tra l’altro, vengono vietati i cellulari nelle scuole. Sembra vi sia una sorta di restaurazione dell’ordine vigente prima della pandemia, senza avvalersi dell’upgrade di competenze digitali che si è acquisito negli anni scorsi. Il digitale non viene considerato nel mio libro soltanto un problema, senza comunque sottovalutarne alcuni rischi e certe criticità; i dispositivi digitali sono anche una grande risorsa sia in termini di ricchezza dell’apprendimento e del sapere sia in termini clinici, soprattutto in situazioni come quelle dei cosiddetti expat, di persone con attacchi di panico, dei cosiddetti hikikomori e di ragazzi con disturbo dello spettro autistico».
2) Che evoluzione ha subito il suo stile di scrittore e come è cambiata la sua prospettiva da “Esiste un amore felice? Sul trattamento psicoanalitico delle crisi di coppia” del 2016 a “Bucare lo schermo” del dicembre 2021?
«Anzitutto, credo che il mio stile sia divenuto più maturo e più ricco in questi anni. Gli scrittori tendono sempre a descrivere la propria ultima fatica come la migliore, se non altro per fare pubblicità alla propria opera, così come fanno i musicisti con il loro ultimo album; tuttavia, credo sinceramente che “Bucare lo schermo” sia il mio testo di maggior qualità. Ho sempre optato per una scrittura fruibile, rivolta non soltanto a clinici ma anche a persone interessate a un certo argomento per svariati motivi provando a semplificare alcune questioni complesse senza tuttavia banalizzarle. Questo libro punta ancor più degli altri a semplificare e chiarire, dal vertice della psicoanalisi, alcuni argomenti relativi al digitale: l’incremento esponenziale degli oggetti nell’epoca del declino del padre, il cambiamento di stile della comunicazione umana sempre più democratizzata e paritetica, lo sviluppo di un’identità nel mondo online fino a giungere a esempi concreti di pratica della psicoanalisi che non possono più del tutto prescindere dai dispositivi digitali.
Sicuramente, tra i fattori di maturazione e di crescita rispetto ai miei precedenti libri, vi è in gioco l’esperienza inedita dell’aver ricominciato in questi ultimi quattro anni il mio percorso analitico a Parigi. Recarmi regolarmente da un analista e da un supervisore che hanno lavorato direttamente con Jacques Lacan e che hanno svolto la propria esperienza analitica con lui mi ha permesso di scrivere da una prospettiva nuova, impreziosita dall’incontro con una dimensione internazionale. In altre nazioni si riscontra una maggior apertura verso la modernità che permette di formarsi prima su questioni ancora poco trattate in
Italia; si ricordi per questo, oltre appunto alla digitalizzazione del mondo, alla critica del patriarcato e dell’eteronormatività già ampiamente trattate in nazioni come la Francia (o la Svizzera, ove insegno a livello universitario) e che giungono da poco al centro delle discussioni nella nostra nazione».
3) Lei si occupa soprattutto di attacchi di panico, ansia, fobie, disturbi sessuali e interrogativi sull’identità sessuale, disturbi ossessivo-compulsivi, difficoltà di coppia e problemi relativi alla separazione dei genitori, disturbi dell’alimentazione, problemi adolescenziali e preadolescenziali, nuove forme di addiction, disturbi psicosomatici e disturbi depressivi. Perché ha scelto questi campi?
«Fin dagli anni dell’Università, trovavo che la fascia d’età adolescenziale fosse quella maggiormente a rischio di sviluppare sintomi anche drammatici, nel momento nel quale i teenager si staccano dall’autorità genitoriale per rintracciare una propria soggettività. Situazioni relative ad opportunità pratiche mi hanno portato a iniziare la mia pratica clinica istituzionale, poco dopo essermi laureato, nel campo delle dipendenze. Si tratta di un ambito poco gradito dai clinici; molti colleghi prediligono infatti i cosiddetti pazienti YARVIs (Young, Attractive, Rich, Verbalisant, Intelligent) e fuggono, appena le condizioni economiche lo permettono, dal lavoro con le dipendenze. Io vi sono rimasto per una dozzina di anni accorgendomi di come questo ambito, lungi dall’essere ristretto alla tossicodipendenza maschile, sia molto variegato e coinvolga spesso le donne: ecco allora la dipendenza dal cibo nella bulimia e nell’obesità, dallo psicofarmaco negli attacchi di panico così come nella depressione e nel disturbo ossessivo-compulsivo,
dalla pornografia agli interrogativi sulla propria sessualità, arrivando allo shopping compulsivo. Si tratta di sintomi che tendono a manifestarsi nell’adolescenza in occasione di una certa separazione dai propri genitori; se non trattati, a volte, si aggravano sino a condizionare radicalmente l’esistenza da adulti. Mi è sempre sembrato importante prendermi cura di queste situazioni che non tutti i clinici si sentono in grado di ricevere e che possono trarre enorme beneficio da un percorso analitico».
4) “Bucare lo schermo” analizza le conseguenze del diffondersi del digitale e si rivolge sia agli esperti e agli specialisti che a genitori e docenti di bambini e adolescenti. Perché ha deciso di scrivere questo libro?
«Ho iniziato a scrivere degli articoli sulle implicazioni delle nuove forme di comunicazione sulla pratica della psicoanalisi alcuni anni or sono. Nel corso dell’anno 2019, mi è stato proposto di collaborare con www.agendadigitale.eu scrivendo dei pezzi su nuove forme della clinica e appunto sulla funzione di rassicurazione indotta dagli oggetti digitali in casi di autismo; si dimostrano preziosi nella relazione educativa con bambini e ragazzi autistici così come nella pratica clinica con persone gravemente ansiose. Ho così pubblicato vari contributi e mi è venuta l’idea di farne un nuovo libro. Non nascondo che, in seguito al lockdown della primavera 2020 e al coprifuoco delle serate dell’inverno successivo, ho avuto molto più tempo per mettermi davanti alla tastiera del computer dando una configurazione compiuta a questo volume di 240 pagine. Bisogna avere del tempo per scrivere, per stare al computer, per riordinare le proprie idee, per leggere e rileggere quanto ci si è trovati a redigere in prima istanza, per effettuare la correzione delle bozze. Vi è un ampio lavoro oscuro dietro la pubblicazione di un testo. Il motivo fondamentale per il quale ho messo in forma di libro le mie considerazioni è quello di fornire a studenti, genitori, insegnanti e colleghi clinici uno strumento di lettura psicoanalitica dell’impatto che il digitale ha sulle nostre vite e sulle nostre pratiche di cura»
5) Lei scrive che il suo libro sospende i giudizi sulle nuove tecnologie, ma avrà un’opinione personale in merito?
«Sospendo certamente il giudizio, anche perché ci siamo tutti accorti di quanto persino le persone più tecnofobiche abbiano avuto un upgrade di competenze digitali nel corso del lockdown tanto da mitigare le proprie impressioni negative sull’argomento. Nel campo delle nuove tecnologie, se vogliamo comunque prescindere dall’evento pandemico e dalla digitalizzazione esponenziale scaturitane, ogni triennio è infatti un’era geologica. Tutto cambia molto rapidamente e giudizi che possono avere una loro validità oggi non l’avranno più tra poco tempo.
Penso in ogni caso che vi sia stata troppa infatuazione nei confronti delle nuove tecnologie negli ultimi due anni: si è vista un’apertura, una miriade di possibilità, un’enorme risorsa in strumenti in buona parte già noti soprattutto fra i giovani; penso d’altro canto che ora vi sia una tendenza pericolosa a voler negare le opportunità offerte dalle nuove tecnologie forse in nome dell’imperativo di ripartire cancellando quanto viene ascritto a precedenti periodi e governi. Prendiamo un esempio concreto, che riscontro dal mio vertice di docente universitario in due realtà diverse: una italiana e una svizzera. Se fino a pochi mesi or sono, pure in Italia gli studenti avevano l’opportunità di seguire i miei corsi collegandosi da remoto all’apposita piattaforma, ora è obbligatorio svolgere tutte le lezioni soltanto in presenza. In Svizzera, al contrario, pur cercando di effettuare i corsi in presenza, vi è ancora modo di connettersi da casa dinanzi a situazioni di necessità; per esempio, alla mia ultima lezione antecedente le vacanze natalizie hanno partecipato anche cinque allievi connessi alla consueta piattaforma. Perché non permetterlo anche in Italia, se non altro dinanzi a motivi sanitari come una patologia respiratoria che implica il rischio di contagiare oppure dinanzi ad altri validi motivi?»
6) Tra i suoi prossimi progetti rientrano anche altri libri?
«Al momento, non ho nuovi progetti editoriali. Sono convinto che “Bucare lo schermo” sia non soltanto il mio lavoro di miglior qualità ma soprattutto un volume estremamente attuale in quanto affronta un argomento al cuore delle nostre vite come il digitale e lo fa dal vertice psicoanalitico. Diverse pubblicazioni pongono a tema la tecnologia, i social network, la didattica a distanza, le risorse e i limiti relativi al digitale; se ne occupano dal vertice antropologico, sociologico, filosofico, anche psicologico ma quasi mai da quello psicoanalitico. Sono pochi gli psicoanalisti i quali hanno compiuto un’elaborazione sulla struttura del digitale, sul momento storico nel quale si inserisce il loro salire all’apogeo, sulla funzione degli oggetti nell’epoca del declino del padre considerando i dispositivi tecnologici come esempio emblematico degli oggetti della contemporaneità. Non a caso, il mio libro sta suscitando reazioni, commenti, recensioni su riviste del settore, proposte di presentarlo in librerie o altri contesti pubblici».
7) Il sogno di Roberto come uomo ed un suo sogno, invece, come scrittore….
«Come scrittore, desidero aprire sugli argomenti relativi alla digitalizzazione del mondo un dibattito costruttivo, di qualità. Troppe volte se ne parla con pregiudizi, divenendo membri di opposte tifoserie: quella dei sostenitori degli oggetti digitali ad ogni costo e quella dei detrattori per partito preso, a priori. In questo modo, se la discussione avviene, si svolge in modo banale. Preferirei scendere più nei dettagli, con occasioni di confronto in presenza ma anche appunto online.
Come uomo, forse è più difficile selezionare un unico sogno, fra vari auspici relativi ad ambiti importanti inclusi quelli relativi al mio lavoro di psicoanalista. Dico comunque che sogno un percorso di crescita soggettivo di mia figlia e di mio figlio tale da rintracciare una propria singolarità serena e piacevole. Con o senza dispositivi digitali».