Scene da un interno. Intervista al poeta Roberto Maggi

Scene da un interno. Intervista al poeta Roberto Maggi

Intervista di Clelia Moscariello

Roberto Maggi nasce a Roma, città in cui si laurea in scienze biologiche. Ama la natura, orienta quindi i suoi interessi professionali e personali verso tematiche connesse all’ambiente e all’ecologia.

Inizia a scrivere dall’adolescenza, nutrendo una passione peculiare per la poesia. I suoi versi narrano la storia di una vita, intraprendendo viaggi diretti a catturare stati d’animo sottili e sfuggenti oppure a fotografare istanti di natura meditativa: una finestra sempre aperta sull’anima, in cui la parola è alla ricerca ininterrotta della musicalità.

Nel 2014 esce la sua prima raccolta di poesie intitolata “Schegge liquide”, pubblicata da Aletti. Il libro riceve un attestato di merito nel premio Internazionale Città di Cattolica (2015). Si succedono apparizioni su diverse antologie poetiche, “Federiciano 2014” (Ed. Aletti), “Vivo da Poeta” (Ed. Montecovello), “Premio Erato” 2015 (Ed. Montecovello, con menzione di merito), oltre che la sua prima pubblicazione in prosa, ossia il racconto breve “Irish blues” contenuto nell’antologia “1000 parole” (2015, Ed. Montecovello).

Nel 2015 intraprende, con il pianista Theo Allegretti, un progetto che mescola poesia e musica, ossia la performance “Suoni di-versi” nella quale il dialogo tra i rispettivi linguaggi espressivi oltrepassa la tradizionale formula del “Reading-concerto”. Questa performance è stata creata in differenti ambiti, tra i quali, anche manifestazioni pubbliche (“SeminarLibri” di Tivoli, “Pigneto Città Aperta” di Roma, “Giornata mondiale della Terra” – Perugia 2016).

Ad aprile del 2019 esce la raccolta di racconti “Suites di fine anno”, pubblicata dalla Florestano Edizioni. Di quest’opera si occupano varie riviste (Duels, La Gazzetta dello spettacolo, Prisma, Menabò, Poesia e Letteratura, Onda musicale, Daily News, Elapsus), trasmissioni radiofoniche (Rai Radio3, Radio Più Roma, Radio Emme, Radio Giano) e blog letterari. Nel marzo 2020 il testo rientra tra le opere vincitrici del Premio Wilde (2° posto assoluto).

Nel 2019 è oltretutto pubblicata la raccolta antologica “Il diario della Natura” (Fuorilinea Edizioni) che lo interessa in triplice veste: come ecologo, in qualità di curatore dell’Introduzione al volume; come poeta, con tre componimenti acclusi; come fotografo, con l’introduzione di un suo scatto a soggetto naturalistico.

Dal 2020 Roberto Maggi si concentra in modo saltuario sull’attività di articolista, recensendo criticamente molteplici libri e autori.

Nel gennaio 2021 viene alla luce la sua seconda raccolta di poesie dal nome: “Scene da un interno”, pubblicata da Terra D’ulivi Edizioni. Recensioni inerenti alla silloge sono comparse su numerose riviste, tra cui Poesia e Letteratura, Tutto Ballo Enjoy Art, Elapsus, Menabò, Prisma, nonché su vari blog letterari. Nel giugno 2021 il libro ottiene il Premio Speciale Sezione Resilienza nel Premio Astrolabio 2020/2021. Tra le passioni del nostro autore vi sono a parte la letteratura, l’arte, il cinema, la fotografia, anche quella della musica, che coltiva sempre con immutato entusiasmo.

1) Ciao Roberto, presentati pure ai nostri lettori…

«Ciao Clelia, grazie innanzitutto per avermi ospitato sui vostri canali divulgativi. Ecco, dunque, una breve presentazione: sono nato a Roma dove ho sempre vissuto e dove mi sono laureato in scienze biologiche, specializzandomi nel settore ecologico. L’amore per la natura che ho sentito fin da giovanissimo, non si estrinseca solo nel contesto lavorativo, ma anche a livello personale. Mi piace molto fare escursioni, soprattutto in montagna, ma anche immergermi e nuotare nel nostro bel mare: insomma, cercare, per quanto possibile, il contatto con gli elementi naturali che ci circondano e che troppo spesso, per il tipo di vita che si è costretti a condurre, lasciamo ai margini. Naturalmente ci sono molte altre cose che amo fare, in particolar modo legate alla sfera artistica e creativa. Oltre a scrivere, mi piace molto la lettura, il cinema, l’ascolto della musica e altro ancora, come avremo modo di approfondire oltre. Ma anche semplicemente andare in bicicletta godendomi il paesaggio o dedicarmi a piccoli lavori di hobbistica ha la sua importanza: ritengo anzi che la manualità sia miracolosa per liberare la mente ed evadere dagli obblighi della quotidianità».

2) Ami la letteratura, l’arte, il cinema, la fotografia e la musica. In cosa ti riconosci maggiormente e cosa non potresti proprio non coltivare tra queste passioni?

«Sono tutte passioni molto forti e francamente non è facile dire quale mi rappresenti di più, anche per l’ovvia considerazione che sono spesso legate ed interconnesse tra loro. Il fatto che sia uno scrittore e un poeta potrebbe far sottintendere che sia proprio verso quest’attitudine che si eserciti l’attrazione prioritaria, ma, in realtà, la stessa modalità dello scrivere non riesce a prescindere dall’influenza di tutte le altre arti, che sono un serbatoio di suggerimenti e suggestioni formidabile per chi scrive, sia a livello di immagini che di idee. Va detto che nel corso del tempo alcune di esse possono essersi indebolite cedendo il passo ad altre, ma posso affermare con certezza che ai libri, letti e scritti, e alla musica, che mi accompagna (e mi influenza) da sempre, proprio non potrei rinunciare».

3) Che evoluzione ha subito il tuo stile di scrittore e come è cambiata la tua prospettiva nelle varie opere che hai scritto?

«Diciamo che sarebbe più corretto dire che l’evoluzione stilistica, più che all’interno delle opere pubblicate, vada valutata sull’intero percorso che mi ha visto coinvolto nella scrittura. Andrebbero infatti considerate anche diverse cose che ho scritto a partire dall’adolescenza (e che per ragioni intuibili non ho mai pubblicato) rispetto alle quali l’evoluzione è molto evidente. In questi primi esperimenti, sia in prosa che in poesia, il linguaggio era carico di simbolismi e di riferimenti metaforici che andavano a pescare soprattutto nella rivoluzione letteraria dei poeti maledetti o anche (per quanto riguarda la prosa) nelle monumentali opere rock a cui mi sono avvicinato con entusiasmo. Rispetto a quelle prime avventure lo stile è lontano anni luce. Certamente un’evoluzione c’è stata anche considerando i vari libri pubblicati e come potrebbe essere altrimenti? Soprattutto nelle opere poetiche, persino all’interno dello stesso volume, che raccolgono composizioni distanti nella datazione, appare evidente il cambiamento stilistico e sintattico, che si è in qualche modo essenzializzato, ma direi, al contempo, arricchito in qualità e significanza, dando sfumature preziose al contenuto. Direi che questo appare ancora più evidente nel libro di racconti “Suites di fine Anno” (Florestano Edizioni, 2019), dove l’allestimento tecnico-linguistico si è spinto agli estremi, nel tentativo di restituire l’universo interiore in sintonia alla ritmica musicale. Ma diventerebbe un discorso lungo e complesso da fare, e quindi inviterei chi legge a mettersi personalmente alla prova…»

4) Raccontaci come hai trascorso la pandemia da Covid19 e cosa ha prodotto in te.

«Credo un po’ come tutti, con sentimenti di oppressione, di inquietudine, nell’angosciante sensazione di vivere una follia. Da biologo, conoscendo in parte i meccanismi dei micro-organismi, ne potevo ammettere la portata e considerare le conseguenze, ma da essere umano sensibile, l’esperienza è stata devastante e insopportabile. Senza contare tutti i dubbi che si andavano moltiplicando in merito alle cosiddette verità scientifiche, e agli opportunismi del potere politico-economico che è sempre lecito sospettare. Non sono un complottista ma devo ammettere che molte cose non mi sono state chiare. In tutto ciò, mentre per molti scrittori l’isolamento è stata fonte di stimolo e un’occasione propizia (spesso anche opportunisticamente redditizia) per trascrivere le proprie riflessioni o posizioni, per me è stato l’annullamento della creatività: non riuscivo a trarre ispirazione dal momento buio. Forse potrà essere un bagaglio esperienziale buono per il futuro, ove poter attingere per nuove elaborazioni. Ma per intanto preferisco guardare aventi e pensare che l’incubo della reclusione sia alle nostre spalle».

5) Che funzione ha la scrittura nella tua vita?

«La scrittura ha sempre rappresentato per me un modo di esprimere i miei stati d’animo e le sensazioni ad essi legate, soprattutto sul versante poetico. Per certi versi quindi la sua funzione è stata anche di sfogo ed esternazione delle proprie sofferenze, un tentativo di guardarsi dentro ed esporre ciò che nel profondo si sente. Anche in prosa quest’aspetto è presente, seppur contaminato da una visione più ampia ed eterogenea della narrazione. E se l’esigenza di scavo interiore, e quindi di indagine psicologica, è il motivo iniziale e trainante, poi diviene anche ricerca verbale e sonora, dove dar spazio alla fantasia creativa nell’uso della parola. E, com’è inevitabile, c’è molto di me in quello che tratteggio e racconto, la natura autobiografica dei miei scritti è palese, seppur “trasfigurata” per esigenze di narrazione. Potremmo quindi dire che si è trattato, e per certi versi ancora lo è, di una sorta di confronto allo specchio, un esercizio terapeutico di rivelazione spirituale, nel quale mettere a nudo spicchi del proprio essere. Perlomeno questo è l’intento. Ma, fortunatamente, non solo questo. C’è anche tanta ironia e autoironia, fondamentale per raccontare e vedere le cose con distacco, perché senza di essa verrebbe meno ogni possibilità di salvezza».

6) Di cosa tratta “Scene da un interno” e cosa ti ha ispirato?

«“Scene da un interno”, edito dalla casa Editrice Terra d’ulivi, è la mia ultima raccolta di poesie. Questa silloge continua e in qualche modo estende la visione e l’intento con cui è stata concepita la prima raccolta poetica (“Schegge liquide”, Aletti Editore 2014), con un naturale adattamento all’evoluzione del linguaggio nel corso del tempo. Qui lo stile si fa più essenziale, centrato nella forza delle immagini che cercano di restituire le sottigliezze interiori, spogliandosi dell’eccessiva verbosità e delle evasioni simboliste tipiche delle composizioni primitive. Tento cioè di esprimere ciò che è il mio sentire attuale in forma più diretta e disincantata, ma senza rinunciare, com’è naturale in poesia, alla sensibilità e alla ricercatezza della parola. Similmente alla raccolta precedente, i componimenti sono suddivisi in capitoli tematici, con l’intenzione di offrire un quadro d’insieme armonico. I titoli dei capitoli fanno riferimento ad aspetti fotografici con cui simbolicamente si prende visione della realtà. E quindi ecco “Metropolis a fuoco”, la città con tutte le sue contraddizioni e asperità, dove l’uomo, soprattutto se sensibile, si muove come in apnea, in una sorta di tensione claustrofobica. E dove, al tempo spesso, vi sono sprazzi di umanità e di felicità inaspettata, perché sta a noi saperli cogliere. Per poi passare alle “Visioni a 180°”, dove il maggior angolo di aperura suggerisce il confronto con diverse tematiche, l’amore, la quotidianità, le asperità della vita, raccontante però come delle meditazioni, mantenendo un minimo di distacco, per quanto doloroso. Venendo al “Bestiario Digitale”, qui cerco di dar spazio al mio amore per la natura e per il mondo animale in particolare, che troppo spesso l’uomo calpesta ed umilia, scordandosi di essere parte indissolubile, e non necessariamente migliore, di essa. Quindi le osservazioni si concentrano su fringuelli saltellanti, su cornacchie gracchianti, su falene leggiadre e così via, perché anche essi sono testimoni (a volte più degni) della vita del pianeta, che dovrebbero indurci a riflettere in forma più profonda e umana, piuttosto che farne delle vittime. La raccolta si conclude con “Istantanee di Niente”, dove la tematica dell’ossessione nichilista si fa più pressante, pur se narrata con un certo piglio ironico ed auto-ironico, con la necessaria dose di disincanto, che rende la percezione del mondo e dei disagi interiori meno amari, a volte anzi avviati a un processo di salvazione, come è stato peraltro sottolineato da alcune recensioni critiche. Cosa mi abbia ispirato a scriverlo è semplice: l’urgenza di trasporre su carta le proprie vicissitudini interne».

7) Tra i tuoi prossimi progetti rientrano anche altri libri?

«Sì, sto ultimando un lavoro in prosa che inizialmente era nato come un’idea di sceneggiatura per un film e che poi, come spesso succede, la scrittura ha trasformato mano a mano che prendeva corpo, e che alla fine si presenterà come un romanzo, il mio primo: una novità e una sfida che mi stimola e, per certi versi, mi impensierisce. Sempre che verrà accolto! C’è anche un secondo progetto, ancora in fase totalmente embrionale, con il quale vorrei realizzare una sorta di diario autobiografico irregolare, in cui far confluire stralci di ricordi, poesie, riflessioni, traduzioni liriche di canzoni. Una specie di affresco personale volutamente disomogeneo, costellato di sequenze a videoclip. Ma è troppo prematuro per parlane in modo preciso. Ad ogni modo, in entrambi i casi non mancherà l’aspetto musicale, che sarà inevitabilmente pregnante. Di questa peculiarità non posso proprio fare a meno!»

8) Tra le altre cose ti occupi anche di recensioni letterarie. Ci dici i titoli di tre libri che hai amato e che bisogna necessariamente leggere?

«Una domanda che mi mette in estrema difficoltà. Impossibile sintetizzare in tre titoli un’infinità di opere che in un modo o nell’altro ti hanno colpito o influenzato. Diciamo che, tra i tanti maestri incontrati nel mio apprendistato di lettore, non può mancare tutta l’opera di Dostoevskij e, se proprio si deve scegliere un titolo, direi le “Memorie del sottosuolo”. Ma più in generale gran parte della produzione russa di quel periodo è imprescindibile (Tolstoj, Gogol, Sologub, ecc.) così come non possiamo non citare Kafka e i suoi pazzeschi “Racconti” (e non solo, ovviamente) o la “Recherche” di Proust, senza contare quell’immenso capolavoro che è “Il libro dell’inquietudine” di Pessoa, che mi ha catturato ed ammaliato per anni. Poi ci sarebbe tutta una lista poetica altrettanto corposa, (a parte i padri Dante e Leopardi, Rimbaud e compagni maledetti, Lorca, Salinas, Ungaretti…), nonché un elenco relativo alla letteratura italiana, ma sarebbe obiettivamente troppo lungo disquisirne, e rischierei davvero di offendere qualcuno…»

9) Nel 2015, insieme al pianista Theo Allegretti, hai mescolato nel progetto “Suoni di-versi” poesia e musica. Cosa ti ha ispirato e cosa pensi invece sia venuto fuori da questo mix di codici?

«L’idea di questo progetto è nata quando ho conosciuto Theo diversi anni fa. Sapevo della sua propensione a trarre ispirazione dai più svariati fronti artistici, ma il connubio si è concretizzato soprattutto in virtù di un comune sentire, di una sintonia che ci lega innanzitutto come amici in grado di condividere medesime “visioni”. Senza questa fondamentale convergenza emotiva, il sodalizio non avrebbe senso o perlomeno risulterebbe riduttivo, menomato. E così ha preso corpo quest’idea che, pur essendo tradizionalmente sperimentata, ha avuto il pregio di andare oltre la consueta formula del reading-concerto, puntando su una performance che trae spunto dal mood del momento, proprio poiché impostata su una modalità improvvisativa, che produce risultati sempre differenti. Naturalmente esiste un canovaccio di base, ma poi questo lascia il posto alle suggestioni che prendono corpo dal vivo. E non solo in poesia. Anche per il libro di racconti che, come detto, è particolarmente legato alla sfera musicale, è strato utilizzato lo stesso approccio, ma senza lo studio di base: lì il registro di fondo veniva offerto direttamente dai brani citati nel testo, la cui traduzione in musica e parole si estrinseca sulla base dei rispettivi feeling espressi in diretta, in una sorta di influenza reciproca».

10) Rivelaci un tuo sogno come uomo e un tuo sogno come scrittore…

«Sono sincero, credo di non saperlo nemmeno io. Certo che ci sono cose che mi piacerebbe realizzare, come per esempio viaggiare di più, dare concretezza a idee e progetti, dedicarmi alle mie passioni, manuali o meno, ma sono davvero così prioritarie? Maturando, forse ci si concentra maggiormente sui valori degli affetti, delle amicizie, cercando di mantenere un equilibrio il più possibile sano e proficuo. Ecco, direi che ciò che maggiormente desidero è di non perdere mai di vista me stesso, la mia capacità di immaginare, e di mantener sempre viva la voglia di ridere nonostante le storture della vita. Senza cedere alla tentazione di desideri effimeri, ma semmai cercando di rimanere umile e di perseguire ciò che mi fa star bene, e fa star bene le persone a me vicine e care. Non solo come uomo, ma anche come scrittore. Spero di riuscire a esprimere onestamente ciò che sento, senza tentare di produrre un qualcosa che esuli dalle mie corde, magari strizzando l’occhiolino a correnti mainstream che aiutino raggiungere più pubblico, perché, così facendo, avrei fallito. D’altronde sono convinto che il desiderio di successo sia un processo illusorio oltreché pericoloso, in quanto affatto in grado di produrre benessere (spirituale) e appagamento. Quel che ritengo invece legittimo e sacrosanto è semmai sapere che ciò che scrivo arrivi all’animo di chi legge, e che quindi sia valso lo sforzo. E allora sì che il riconoscimento è quanto di più bello e gratificante ci si possa attendere.»

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