Intervista a Fabiola Labella: “Un caso impossibile” è un thriller psicologico in cui si affronta il tema dell’identità”
Fabiola Labella, ottica di professione, è anche un’autrice e una scrittrice. Di recente è stato pubblicato “Un caso impossibile”, edito da Una vita di stelle library scritto a quattro mani con Raffaella De Francisci. Intervista e foto di Clelia Moscariello
Fabiola Labella ha studiato fisica, approfondendo astrofisica e cosmologia ed è diplomata in ottica sanitaria. Ottica di professione, la nostra Fabiola è anche un’autrice di interviste, articoli e recensioni, ma è, soprattutto, una scrittrice. Ha scritto il suo primo romanzo, “Un anno, una vita. Il ritorno di Sara”, uscito nel 2020 e pubblicato da Edizioni Progetto Cultura di Roma, e, di recente, “Un caso impossibile”, a quattro mani con Raffaella de Francisci, edito da Una vita di stelle library. Fabiola Labella, che si diletta a scrivere anche poesie, in seguito, ha ultimato la stesura di altri due romanzi e di una raccolta di racconti gialli.
1) Ciao Fabiola, ti dedichi a tante attività come redattrice e scrittrice, hai studiato fisica, astrofisica e cosmologia, sei diplomata in professioni sanitarie. Insomma, puoi essere considerata una personalità poliedrica, ma in cosa ti riconosci di più?
«La Scienza resta la dimensione in cui si nutre il mio essere, in cui viene soddisfatta la mia curiosità sul reale. L’attività che oggi mi rappresenta di più è senza alcun dubbio la scrittura anche se non mi dà da mangiare perciò devo affiancarla ad un lavoro. É un periodo di transizione per me in cui sto cercando anche di ricollocarmi nel mondo lavorativo in un altro ruolo perché la professione di Ottico non mi offre più soddisfazioni e non risponde più alle mie motivazioni. Mi piace sperimentare, conoscere persone e confrontarmi, mettendomi alla prova in nuovi contesti che siano in grado di coinvolgermi intellettualmente. Curo una pagina letteraria in cui pubblico le mie poesie, racconti, brani, estratti o interviste e recensioni di romanzi di scrittori emergenti. Non posso definirmi redattrice anche perché non ho titoli professionali da presentare e non posso vantare competenze specifiche».
2) Leggo che la tua passione per la scrittura è nata quando eri giovanissima. Ricordi come è emersa esattamente o alcuni particolari di ciò che ti ha fatto entrare in questo mondo?
«Il mio amore per la scrittura posso farlo risalire al momento in cui mia madre, probabilmente preoccupata dall’aspetto introspettivo e solitario della mia indole, mi regalò un diario con lucchetto all’età di 8 anni. Iniziai ad annotare pensieri, riflessioni, poi commenti ad eventi della mia quotidianità o sociali. Ho trascorso l’infanzia durante gli anni “70 ed ancora oggi rimpiango quell’atmosfera effervescente, verace, molto stimolante per una natura tanto curiosa come la mia».
3) Che evoluzione ha subito il tuo stile di scrittrice e come è cambiata la sua prospettiva?
«L’approccio al progetto “Un anno, una vita” è stato casuale e passionale. Si tratta di personaggi che mi hanno “perseguitata” nel sonno per mesi. Quando peggiorò il mio problema d’insonnia mi convinsi fosse utile mettere “nero su bianco” i confronti/scontri serrati, sanguigni, emotivi dei due protagonisti che si agitavano nella mia mente. Ne è uscito un racconto lungo ma mi affezionai ai due personaggi rimanendo invischiata nelle loro vicende domestiche, tanto da riempire una ventina di quadernoni a quadretti narrando un anno fondamentale della vita della coppia. Ne ho pubblicato il primo volume, ho pronto il manoscritto del secondo immaginando una saga di quattro volumi di genere romance ma niente a che fare con Liala. Le loro psicologie sono il risultato di un’attività di patchwork della mia mente che ha autonomamente assorbito, archiviato e poi rielaborato conversazioni rubate, confidenze ricevute, confessioni scambiate con uomini e donne negli anni sulle tematiche delle relazioni di coppia. Nel caso del thriller, scritto a quattro mani con la mia amica autrice, Raffaella De Francisci, il progetto è nato a tavolino dopo l’esperienza di raccogliere una serie di racconti gialli firmati indipendentemente da entrambe in un’unica raccolta e lo scambio di editing sui rispettivi romanzi. Ciò ci ha indotte a finalizzare e rafforzare la collaborazione attraverso un esperimento di scrittura integrata. Abbiamo scelto l’argomento cardine del romanzo, abbiamo montato lo scheletro della trama, lavorato sull’elemento psicologico, l’ambientazione, facendo ricerche e studiando gli aspetti più tecnici, quindi, abbiamo iniziato a narrare la storia, montando l’intrigo, filando la ragnatela degli eventi e manipolando l’intreccio».
4) Hai scritto romanzi sia come autrice che come co-autrice. Ci sono modus operandi diversi e, soprattutto, quale preferisci di più?
«L’aspetto che rende l’approccio diverso nei due casi è la natura della creatività: nel caso di unico autore dell’opera questa assume natura di onnipotenza mentre nel caso di scrittura a quattro mani si annulla il protagonismo e si lascia spazio all’empatia verso l’altro autore, alla sintonia con il sentire dell’altro, al suo mondo immaginifico. Non può essere un’esperienza da condividere con chiunque, con qualsiasi autore seppur bravissimo. Raffaella ed io siamo legate da ammirazione ed amicizia l’una verso l’altra, perciò, liberarci della nostra rispettiva onnipotenza, ascoltare l’altra, mettersi a servizio dell’altra non è stato un sacrificio, non è stato un ostacolo alla propria espressione creativa. Non ho preferenza tra i due approcci. Per me l’aspetto fondamentale è la scrittura, il momento creativo, l’invenzione: dare vita, sostanza, concretezza a personaggi che sono soltanto frutto della mia fantasia in un contesto realistico, creare l’illusione che ciò che narro sia verosimile, una dimensione in cui il lettore si dimentichi che in realtà è tutto falso».
5) Di cosa tratta “Un caso impossibile”?
«É un thriller psicologico in cui io e Raffaella affrontiamo il tema dell’identità, dell’immagine del vero “Io”, di ciò che veramente sentiamo di essere, quella che manifestiamo all’esterno perché in essa ci riconosciamo. Non per tutti ciò è banale. Per alcuni di noi è un parto difficile, doloroso; per altri quasi impossibile a causa di interferenze ambientali, educative ed emotive. Tutti sperimentiamo quanto possa essere pressante ed invasiva la pretesa sociale di inquadrarci in prototipi, in modelli preconfezionati. Se il vero “Io” non riesce a manifestarsi le conseguenze personali e sociali potrebbero essere assai pericolose».
6) Perché i nostri lettori dovrebbero leggere “Un caso impossibile”?
«Lo consiglio a chi ama la tensione, a chi è interessato a capire cosa si nasconde dietro comportamenti e scelte delle persone e soprattutto a chi, come me, è convinto che per quanto l’essere umano si distingua come specie per la sua potente razionalità, in realtà la nostra profonda realtà è animale, è strettamente vincolata alle tre leggi fondamentali di Madre Natura. Se un individuo viene costretto, ostacolato, negato per un lungo periodo, quell’animale che è in noi e per tutta la nostra esistenza teniamo sotto controllo, potrebbe finir per risalire dal profondo, prendere il sopravvento, trasformandoci in orchi. Ho la certezza non sia un’esperienza che riguarda persone dallo sviluppo psichico alterato, potrebbe riguardare ognuno di noi, il nostro vicino, un nostro conoscente».