Tra scrittura e giornalismo. Intervista ad Antonio Infuso

Tra scrittura e giornalismo. Intervista ad Antonio Infuso

Intervista e foto di Clelia Moscariello

Antonio Infuso è un giornalista e scrittore italiano. Nato e residente a Torino, si è laureato in Scienze della Formazione/Dams, indirizzo Cinema. Speaker e conduttore di varie trasmissioni radiofoniche, a partire dagli anni ’80, collabora con numerose testate giornalistiche, occupandosi di cinema, musica e televisione. Nell’anno 1996, Antonio diviene poi responsabile dell’Ufficio Stampa e Comunicazione della Città di Nichelino e crea la rivista Nichelino città, assumendone anche la direzione. Antonio Infuso esordisce come scrittore, nel 2015, con il romanzo Il commissario Vega – Indagine di sola andata (Gds), ripubblicato, nel 2020, da Intrecci Edizioni, un giallo/poliziesco con sfumature noir, che ha come protagonista un commissario sopra le righe e la sua amata Torino.

Il 2018 è l’anno di uscita di Suicidi al sorgere del soleLa seconda indagine del commissario Vega, ancora, per Intrecci Edizioni, che introduce elementi di realismo. Il 2021 vede invece venire alla luce La notte della anime innocenti, con una atmosfera rarefatta e crepuscolare. L’ultima opera di Antonio, Una storia di quartiere, esce nel 2022, sempre per Intrecci Edizioni e si tratta di un romanzo di formazione che ha come sfondo ancora la città di Torino, ma, quella del 1969, con al centro, l’amicizia tra il dodicenne Amedeo e un boss malavitoso. Noi lo abbiamo intervistato.

Presentati pure ai nostri lettori.

«Sono nato a Torino, figlio di immigrati siciliani. Mi sono laureato al Dams, indirizzo cinema e la settima arte è una delle mie passioni. Insieme alla musica, dal rock al jazz, dai cantautori al “progressive”. Mi piacciono anche le serie Tv poliziesche americane. Leggo molto ma meno quando mi dedico ai miei romanzi. Mi piace lo sport, ho giocato tanti anni a calcio. Amo il mare. Non mi piace l’inverno tranne che per la neve: Torino ammantata di coltre bianca e ancor più bella».

Come nasce la tua passione per la scrittura?

«Ho fatto il giornalista per oltre un trentennio, quindi una certa confidenza con la scrittura era ormai radicata. Avevo in mente di scrivere un romanzo da molti anni ma non mi sentivo mai pronto e all’altezza. Poi, nel 2012, è scattato qualcosa dentro di me. Mi sono deciso e ho scritto “Indagine di sola andata”, con protagonista il commissario Vega. Ritenevo sarebbe stato il primo e ultimo libro della mia vita. Invece le vendite sono andate bene e ho scritto altri due romanzi con protagonista il poliziotto torinese».

Ti sei dedicato durante la tua vita a diverse attività lavorative. Sei stato, infatti, barista, scaricatore, speaker radiofonico, dj in discoteca, assistente in una comunità psico-socio-terapeutica, impiegato in un’azienda automobilistica, animatore sportivo e critico cinematografico. Oggi sei anche un giornalista e uno scrittore. Tra le attività finora svolte quale senti più affine a te?

«Be’, volevo fare il giornalista ed è poi divenuta la mia professione. Ne sono soddisfatto; ho fatto della mia passione la fonte di sostentamento. E non è poco. Però gli anni della radio sono stati elettrizzanti. Forse avrei dovuto dedicarmici di più. Ma erano tempi in cui le opportunità, pur con grandi ostacoli e di vario genere, non mancavano e ogni occasione era una nuova avventura».

Che evoluzione ha subito il tuo stile di scrittore e come è cambiata la tua prospettiva?

«La mia è una scrittura istintiva, scrivo in genere di getto. Per me un nuovo romanzo è come fare un giro a Disneyland sull’ottovolante: adrenalina. Il mio stile, denso di dialoghi serrati, ritmo e senso dell’azione, risente parecchio del cinema. Per me scrivere è come dirigere un film. Nel tempo ho affinato alcune tecniche narrative e mi sono smaliziato. Ma la cifra stilistica non è cambiata. Direi che ho cercato di arricchirla. Poi rimane immutato il protagonismo di altri due elementi: la musica e Torino».

Quale dei tuoi libri racconta più di te?

«Il primo romanzo, ovviamente, un noir: “Indagine di sola andata” con protagonista il commissario Vega. Nelle mie intenzioni doveva essere la prima e ultima esperienza letteraria. Poi, però, le vendite sono andate bene (oltre quattromila copie vendute, ndr) e ne ho scritto altri due: “Suicidi al sorgere del sole” e “La notte delle anime innocenti”. Ma sono legatissimo a “Una storia di quartiere”, al bianco e nero di quella stagione vista con gli occhi ingenui, attenti e curiosi del dodicenne Amedeo».

Quanto ti sei affezionato negli anni al commissario Vega e quanto è stato difficile “lasciarlo andare via” per dare spazio a nuovi progetti?

«Sono naturalmente affezionatissimo al commissario. Ma dopo tre romanzi che vedevano Stefano Vega protagonista, avevo desiderio di uscire dal mondo del mio investigatore. Dedicarmi ad Amedeo e al suo percorso di formazione è stata una sorta di liberazione dalla serialità del commissario. Di Amedeo ne parlai con la mia editrice, la romana Intrecci, che ha pubblicato tutti i Vega. Anche a loro l’idea era piaciuta».

Raccontaci di come hai trascorso la pandemia ed il lock down degli scorsi anni. Quale idea hai partorito in quel contesto?

«Durante il lock down ho scritto “La notte delle anime innocenti”, forse il più crepuscolare, impietoso e tragico dei tre Vega, una vera sinfonia noir. Poi registravo dei video in cui cantavo in playback. Su Facebook erano seguiti. Ma è stato un periodo di tempo sospeso in cui ho visto andarsene amici e parenti nemmeno anziani».

Di cosa tratta il tuo ultimo lavoro e cosa ti ha ispirato a scriverlo?

«“Un storia di quartiere” è un romanzo breve di formazione. Siamo nel centro di Torino, nel 1969. Il dodicenne Amedeo, abile con il pallone, diventa amico del boss malavitoso del quartiere, don Pino. Nel frattempo, vive il suo primo amore con la coetanea Silvia, sua vicina, e insegue il sogno di diventate un calciatore professionista. Il vivace rione e lo spirito del tempo gli propongono i modelli di riferimento mediante i quali compiere il percorso di crescita: famiglia, scuola, Chiesa, sport, comunismo e malavita. Mentre la Storia passa sotto i suoi occhi attraverso lo sbarco sulla luna, l’Autunno Caldo e la strage di piazza Fontana. Ma protagonisti della vicenda sono anche un’epoca – con i sogni, la musica, il cinema, la radio e la televisione – e la città vecchia, resa realistica nei contrasti sociali, politici e regionali, nella solidarietà popolare, nei profumi, nel vociare, nel trambusto, nei negozi e in alcuni personaggi che compaiono fugacemente».

Perché i nostri lettori dovrebbero comprare “Una storia di quartiere”?

«Nel romanzo la microstoria di Amedeo e la Storia del paese si inseguono. É un romantico commiato dall’età dell’innocenza sia per lui che per l’Italia, violata, alla fine di quell’anno, dalla “strage di piazza Fontana”. É un affresco di un’epoca, con sprazzi di neorealismo e di “cinema alla Martin Scorsese”. Un viaggio, anche divertente, in una stagione ancora intrisa di speranze per un futuro migliore».

 Chi ti auguri invece maggiormente che lo possa leggere?

«All’inizio credevo che fosse un po’ generazionale e quindi destinato a un pubblico di età matura. Invece ho scoperto che lo hanno letto molti giovani ed è stato adottato, come libro di lettura e avvicinamento alla scrittura, in alcune scuole medie (classi terze) e nel biennio delle superiori. E questa è stata la mia più grande soddisfazione come scrittore».

Che ruolo ha la scrittura nella tua vita?

«Credo nella funzione sociale dell’arte. Chi scrive è al servizio di chi la storia la subisce e non di chi la determina. In aggiunta, per me è anche un’avventura nel parco dei divertimenti dove tutte e possibile».

Tra i tuoi prossimi progetti rientrano altri libri?

«Il primo amore non si scorda mai. Perciò ho iniziato a scrivere il quarto noir con il commissario Vega. Poi, vorrei tentare una sortita nella fantascienza post apocalittica, ma è un progetto complesso e che richiede, come in tutti i romanzi, moltissime ricerche. I lettori sono attenti e se sbagli te lo fanno notare».

Il tuo sogno come scrittore e come uomo.

«Beh, visto che si parla di sogni, vorrei vedere Vega protagonista di una serie tv o di un film. E pure il giovane Amedeo. Sognare non costa nulla. Sarebbe come un altro giro sull’ottovolante. Questo come scrittore. Come uomo, invece, vedo un sistema che sta andando a pezzi. Dalla scuola al lavoro, dalla sanità all’informazione, dallo sfruttamento alla disoccupazione, dai social media all’ambiente e al razzismo. Sogno che valori e diritti vengano riportati al centro di una società civile. Ma forse sarà più facile vedere Vega sullo schermo».

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