Ines

Racconto di Wanda Lamonica

“La spagnola sta cu l’ingegnere, adesso. L’avissi vista stamattina, Ninè. Avìa dui occhi abbottati chi mancu ‘n pugile misu all’angolo…”
Agatina infila mele ammaccate in un sacchetto di tela sfilacciato. Sa che il fruttivendolo, a quell’ora, gliele vende sempre a metà prezzo. Fa caldo e l’afa preme sulla pelle umida come la stretta appiccicosa e molesta di uno sconosciuto. Ninetta tiene in braccio, poggiata su un fianco, la figlioletta di un anno.

La piccola ha due dita infilate in bocca e gli occhi rossi, a furia di perlustrarsi insistentemente il palato. Due bambini scalzi lavano susine gialle alla fontanella davanti al banco dei pesci di Zio Tore.

“Sempri a parrari di la spagnola, stati” dice Ninetta. “Ma lassatila in pace!”. Agatina guarda Ninetta storcendo il grosso naso in una smorfia di disapprovazione.

“Si fici tardu, vaiu a casa. La picciridda ha fame”. Ninetta si allontana. Con il passeggino usato come carrello e il suo fianco ossuto usato come passeggino. A casa, prepara le melanzane ripiene. Saranno pronte per quando Masuzzo sarà di ritorno dall’officina. Lo sentirà trangugiare cibo e lamentarsi per le ultime bollette dell’energia elettrica. Poi lui le chiederà un caffè amaro in un bicchiere di vetro e crollerà, per il sonno, sulla poltrona accanto al balcone aperto. Rimarrà immobile per quindici minuti, tra il blu pulito del cielo e quello, sporchissimo, della sua tuta da lavoro. La piccola Betta ha già mangiato la sua pappa e ora dorme beata nella culla, accanto al novecentonovantasettepiedi di peluche. Perché tre piedi glieli ha strappati ieri, con i denti. Ninetta prende il telefono. Compone un numero. Sbircia dalla finestra, sollevando più volte la tenda.

“Ti alzò le mani pure questo fetuso?” chiede iniziando ad apparecchiare la tavola per due persone.
“No, Ninetta. Estoy bien. Non ho dormito. Sono simplemente stanca”. La voce all’altro capo del telefono, è lenta, infantile, dolce.
“Inè, come stai? Dimmi come stai pi davvero, bìedda mia”, chiede Ninetta.
“Estoy bien. Soy contenta. Alberto me ama”, risponde lei.
“E picchì avevi l’occhi gonfi come dui palluna? Così dissero al mercato, stamattina”.
“Porque parlamo toda la noche! Él me ascolta. Me abraza. Adesso è aquì, conmigo. Non me abandona. Alberto es especial”. Ines parla singhiozzando, con le sue erre sonore che fanno più tenere le sue frasi.
“Inè, cori miu. Picchì stai chiangennu?”
“Porque yo adoro gusto di lacrime alegre”.
“Inè, tu ti meriti un amuri grande”. Ninetta ha gli occhi umidi. Scopre il piatto che ricopre le melanzane appena cotte. Controlla. Sono ancora calde. Come il cuore, adesso. Come le speranze, sempre. “Ninetta, yo e Alberto non ancora …”

(pausa)

“Non fatto amor. Entiendes?” chiede con imbarazzo Ines.
“Certamente che ‘ntendo. Iddu sapi l’inferno che passasti. E ti rispetta. Ora ti deve solo sorridere, la vita. E tu si pronta!” Ninetta allinea le posate sul tavolo.
“Però la gente parla”, si lamenta Ines. “Inè”, dice Ninetta, “la gente parla, l’aceddi volano, u mari mai si riposa. E tu? Tu fatti a vita tua”.
“Sì , Ninetta. Yo quiero solo mucho amor”. Ines riattacca, felice. Masuzzo rientra. Si lava le mani con la saponetta verde, quella che disinfetta meglio. Si siede a tavola.
“A picciridda? “, chiede versandosi il vino.
“Dorme. Un luna park fici, pi manciari”, risponde Ninetta disegnando una ruota panoramica con le mani. Ridono insieme. Poi Masuzzo scopre il suo piatto.
“Mmmh. Buone, chiste. A bolletta di la luci arrivò, Ninè?”.

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