Utopia del silenzio. Una preghiera

Articolo di Martino Ciano

E tutto si realizzerà e saremo ciò che vogliamo essere e ciò che mai vorremo essere stati, ché forse di una speranza innata vive l’umanità: la ricerca della pace del cuore, dell’accarezzarsi un attimo come se non esistesse il dopo.

Sentirsi a casa, ovunque essa sia, anche tra la pioggia e il vento… ritornare a sé stessi, prendersi cura, per un attimo, di ciò che irrimediabilmente ci parla in ogni momento e che irrimediabilmente mettiamo sempre da parte.

Effatà, apriti a me Dio silenzioso, che piccole tracce di te hai nascosto tra le membra del creato. E che sarà di ciò che pensiamo e che mai appare, di ciò che resta tra l’increato e l’immateriale? Mentre un grido è simile a una preghiera e nessuna parola apre la porta celata tra cielo e mare, offuscata dalla malinconia, dalla nostalgia dei tempi mai vissuti, tu mi prendi in giro con la pretesa di credere nell’eternità.

Vorrei, Signore d’ogni dubbio, Padre di tutte le angosce, pentirmi del mio indagare, ché il mondo sa di assurdo e tu sei maestro d’ogni nascondimento. Poi viene una Madre celeste, fecondata dal tuo spirito, e s’innalza il silenzio, ossia la tua ira. Indifferente sei, come lo sei stato per Giobbe… un dolore assiso tra mille petali di rosa, un escremento che dà nutrimento a mille scarafaggi. Cos’è il Mondo senza il dolore? Mille giorni di gioia consecutivi non donano nulla all’uomo. Lui va sempre in cerca di qualcosa con cui struggersi, con cui fare i conti, con cui denigrarsi, con cui trovare una scusa per ammazzarsi. E tu sai, Signore degli inverni, Padre del buio, Fustigatore della luce, che lo spirito anela a ciò che sente, ma spera anche che mai si realizzi.

Mentre io scrivo nella mia stanza con vista sulla strada, la sera incombe e il solstizio si avvicina, ché la luce prevarrà sulle tenebre solo oggi, e oggi non sarà domani. Pongo una goccia di sangue alla fine di questo foglio, firmo un armistizio, un contratto d’affitto… un appartamento sul mondo, una finestra sul cielo, un cuore tra le tenebre.

Effatà, apriti a me Signore dei miei incoscienti piaceri. Scriverei per ore, riempirei fogli e poi brucerei tutto, ma mi resta solo il silenzio e a esso affido tutto me stesso. Prosciugato d’ogni parola, andrò a godere del turbamento che mi dona il tramonto. Cercherò te, poi me…

…ma non prendermi sul serio.

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