In una casa

In una casa

Articolo di Martino Ciano. Foto di copertina: Opera del ceramista Benedetto Ferraro, titolo: “Luce”

Mi assento un attimo dai litigi mondani, attraverso la porta di una casa che la memoria non ha mai perso di vista. Sono tra pareti azzurrine, disegni di bambini tratteggiati su fogli a quadretti. Un albero, un sole, un prato sono le figure dominanti. Pochi mobili impolverati; nessuno viene qui da anni, neanche la mia memoria. Mattonelle scheggiate richiamano alla mente passi martellanti, poi, in fondo, una tapparella lasciata a metà, la finestra che affaccia su un cortile in cui v’è l’erba alta.

Qualcosa sta tra queste cose, forse ricordi da pochi spicci che non possono essere venduti neanche durante qualche riunione familiare; ma sarebbe difficile spiegare perché si ritorna in certi luoghi, visto che persino l’infanzia li ha rinnegati. C’è bisogno di fermarsi per firmare il passaggio, e proprio in questo gioco di parole tra “fermare” e “firmare” si sente la necessità di abbandonare per sempre ciò da cui si è fuggiti, da cui si è traslocati in fretta.

Nella dimenticanza trova respiro quello sgabuzzino, la cui porta è stata chiusa a chiave, in cui restava in silenzio un bambino. Gli piaceva ascoltare il ronzio del vuoto, amava immaginare al buio. Passava ore in quel tugurio; non usciva fin quando non aveva percorso tutte le strade che la mente gli suggeriva, come se lì ci fosse l’iniziazione alla speranza… la speranza di uno spazio incontaminato; magari un’isola felice in cui riposarsi anche da adulto.

Ci sono gabbie in cui ci si rinchiude e di cui si fanno sparire le chiavi, gettandole in pozzi profondi, senza fondo, nei quali si grida ma non si produce eco. Questa è una prigione che contiene l’universo in cui nuoto e catturo ciò che è pur sempre stato. L’irrinunciabile sensazione di appagamento che si riceve scrutando i particolari di un sogno ricorrente, magari è sempre il primo che si è fatto e che dopo si è adeguato ai tempi.

C’è una casa in cui si nasce e nella quale si decide di non morire, anche se immaginaria essa esiste. A volte si torna tra le sue stanze per addormentarsi, forse per stare un po’ con sé stessi prima di tornare a litigare con ciò che del mondo si percepisce.

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