In questo mare, impariamo a nuotare. Da Grisolia la storia e il libro di Francesca Evoluzionista
Recensione di Letizia Falzone
Scrivere per esorcizzare. Per mettere in fila i pensieri. Per dare una cadenza, un respiro, un senso al dolore e alla paura. Non per voglia di dare spettacolo di sé, ma perché scrivere è il modo migliore per sottolineare ciò che ci accade, filtrando emozioni e sussulti attraverso la parola scritta.
Questo libro è la testimonianza di un tortuoso cammino di dolore e speranza: un incubo che inizia con il giallo. Giallo come il colorito del viso e degli occhi di Francesca. Questo incubo continua con due difficili trapianti di fegato e pancreas e ulteriori complicazioni.
Ma, al di là della descrizione di una profonda esperienza personale, “In questo mare impariamo a nuotare” è soprattutto una riflessione sul senso della vita, un’opera che sa trarre da un fatto privato verità universali, narrate con uno stile impeccabile, un viaggio in forma di diario, che si fa insieme alla scrittrice nell’esperienza personalissima del trapianto, dell’attesa, della discesa all’inferno per poi risalire. L’iter da seguire per debellare la malattia non è facile, anzi, terribile per una bambina molto piccola. I suoi genitori sono costretti a mettersi di fronte a una dura prova, devono cercare di reagire per dare forza al loro piccolo cucciolo che deve combattere contro un mostro sconosciuto.
Francesca racconta con un linguaggio semplice e commovente tutto il suo cammino e quello della sua famiglia durante quei bruttissimi anni che avrebbero portato alla cura dalla malattia. Il cammino di Francesca è stato lunghissimo, difficile ma pieno di coraggio.
Un’esperienza di vita che lascia il segno anche a chi non ha fortunatamente dovuto affrontare questo dolore. Il messaggio è un insegnamento di vita unico, profondo, incredibile. Il libro non cade mai nel “patetico”, anzi, commuove ma spinge l’attenzione sul donare e sul donarsi, sul come un gesto che tutti dovrebbero essere pronti a fare, sia così incomprensibilmente “raro”.
C’è un tale contegno anche nella verità, una tale dignità anche nella progressiva perdita di controllo, da sentirsi piccoli piccoli se ci siamo lamentati di un mal di schiena. Qui c’è una splendida testimonianza di umanità, con la sua paura della morte e della sofferenza, eppure la straordinaria voglia di vivere e di far vivere.
Enorme talento di questo romanzo è l’onestà con cui l’intreccio tra stato fisico e stato emotivo viene descritto, senza fronzoli, per ricordarci che possono toccarci grandi tragedie ma anche grandi miracoli.
Mi ha trasmesso tantissime emozioni: l’incertezza del futuro, la sofferenza, la perdita, la paura di non farcela, la speranza. Mi ha fatto riflettere molto sulla vita e sulla morte e su aspetti della nostra quotidianità che spesso non prendiamo molto seriamente. È una storia struggente eppure mai melensa o tragica. Riesce ad emozionare e a far piangere, ma anche a far sorridere.
Ma alla lettura di queste pagine come lei pacate, dolenti e intense, resto stupita e commossa dal diario di un’anima così toccata, ispirata, impregnata dalla fede. La consapevolezza della malattia, la trafila delle terapie, la solitudine, la paura, il dolore, il futuro negato. La realtà c’è tutta, nessuna sublimazione spiritualista che ne ammorbidisce la durezza. Ma è una realtà trasfigurata dall’innamoramento per la presenza di sua madre, di suo padre e di tutta la sua famiglia, che significa fiducia, speranza, incomprensibile serenità. Niente rabbia, recriminazione, lamentela. Spalancata davanti a quel “quanto tempo ancora?” che è la costante di ogni risveglio, subito incalzato da un interrogativo di piglio e baldanza: “che farne, di questo tempo?”. Che non è inutile, non è perso, rassegnato, decadente.
Un racconto che prima coinvolge e poi un attimo dopo travolge, lasciando alla fine dell’epilogo una ricchezza interiore. Prende talmente tanto che quando lei si sente in una bolla quasi non respirando manca l’aria pure a lettore. Si finisce con il piangere insieme a Francesca e a condividere il suo percorso , il percorso di una ormai giovane donna a cui nel frattempo ti sei affezionata tanto da sentire di conoscerla come una sorella.
Da ogni parola trasuda emozione ed il lettore, inevitabilmente, finisce per vivere accanto alla narratrice, a vivere nella narratrice, incalzando i suoi panni di bambina prima e di donna poi. Non è un libro che si legge, è un libro che si vive. È come starle accanto anche nei momenti di solitudine, quelli dove il dolore, la paura ma anche la fede si fanno più forti.
Dono. È una parola con un significato molto complesso ma anche così chiaro da risultare molte volte banale. Cosa vuol dire donare? Questa parola può assumere diverse sfaccettature e una di queste, forse la più importante, è raccontata nel libro che è un grande mezzo. È la possibilità concreta di far capire alle persone che cosa è una malattia, come la si vive quando ti tocca in prima persona e come per tanti malati il trapianto è l’unica speranza. Ed è necessario dare ai malati questa speranza e la speranza è il dono. Donatevi questo libro perché apre una finestra sulla malattia e sulla speranza di guarire. Donatelo ai medici, ai paramedici, al personale infermieristico perché si ricordino sempre che i malati non sono numeri. Donatelo ai giovani perché scuota le loro coscienze e trovino la motivazione per iscriversi nel registro dei donatori. Riempite il mondo di palloncini rossi donando questo libro perché porta con sé un messaggio importante che deve volare e raggiungere più persone possibili. Fate volare la speranza. Donate speranza! Donate vita!
Un grazie infinito a Francesca per averci fatto con questo libro, un immenso Dono.