Il tuo demone

Il tuo demone

Racconto di Albino Console e Mariasole Orrico. La vignetta è di Kirill Scalirò

Il cielo porpora, il mare immobile, un’atmosfera statica calda ed umida, nessuno sulla strada che costeggiava la spiaggia, non un cane, non un uomo. Stranamente pensai allo Stromboli.

Pensai ad un terremoto e allo tsunami che ne poteva derivare. Un tuono profondo, inizia a piovere, cerco un riparo ma mi bagno, è strano, sento forte odore di ferro. Conosco quell’odore, l’orrore della malattia che avevo superato mi aveva impregnato il cervello dell’odore di ferro contro l’anemia. Mi asciugo il viso e quella che credevo acqua risulta troppo viscosa al tatto, il cielo rosso ingannò i miei occhi. Il cielo grondava quello che sembrava sangue. Entro in paese tra i vicoli che separavano il centro dalla spiaggia, non un cane, non una persona, be’ in fondo la mancanza di altri esseri umani non era un problema per me.
Andai verso una fontana, meravigliosa cristallina acqua fresca per ripulire il mio viso e rinfrescare la mia anima, bevo. Bevo tanto e quasi le forze mi abbandonano, tale il piacere di buttar giù tutta quell’acqua gelida. Alzo gli occhi… un brivido, la pelle d’oca, un essere sognato anni prima, un essere che aveva corrotto le notti dei miei migliori anni fece la sua demoniaca comparsa di fronte a me. Quanta invidia provai nel vedere quella forma, possente, fiero, forte, alato e dallo sguardo luciferino.
“Cristo” dissi ad alta voce.
“Non proprio” rispose con voce profonda quell’essere”.
“Ti conosco, ti ho sognato per anni” gli dissi, e lui “sicuro di avermi solo sognato? Tu mi hai desiderato, io sono ciò che tu non sarai mai!”
“Come ti chiami?” gli chiesi
“Tu, come ti chiami?” mi rispose allungando una mano verso i miei occhi.
Mi coprì la faccia con il palmo della sua enorme mano sinistra, smisi di vedere. Smisi di respirare e vidi con la mente un futuro di sangue e disperazione, morte, violenze indicibili e torture medievali, una parola ed una sola echeggiava nella mia mente come un mantra infernale “scarnificazione, scarnificazione, scarnificazione”. Aprii gli occhi, era lì, rideva del mio terrore, cominciai a correre senza meta. Non scelsi un luogo, probabilmente il luogo scelse me, ed all’improvviso mi ritrovai difronte la casa che mi diede i natali, casa di mio padre, lui non era più tra noi da molti anni. Non ricordavo neanche come ci fossi arrivato fin lì, era lontana chilometri, ma si sa, la paura fa fare grandi cose. Lo sapevo, avevo già avuto paura, ma non ero pronto, non a vedere quella forma, non a sentire quella voce… Mio padre… mio padre era davanti al cancello, quello blu, quello che mi vide crescere e giocare spensierato, mi avvicinai timoroso, lui mi sorrideva. Papà!
A meno di un metro da lui, il suo sorriso si rovesciò, mi diede uno schiaffo, poi un altro, poi un altro, un pugno sull’occhio destro ed io a terra, “perché?” gli chiesi, e lui “sono morto per te, sei un inutile piccolo uomo che scappa, mi fai schifo, mi vergogno di te!”
Dopo qualche secondo passato faccia a terra mi rialzai, lentamente mi rialzai, ero lucido, la faccia sferzata da un’aria diventata all’improvviso gelida sembrava di marmo, le dure vene sulle braccia e le mani gonfie di una linfa vitale che mi prometteva grandi cose.
“Dove sei demonio? Dove sei?” ero furente, ero assetato del sangue di quell’essere, che all’improvviso capii fu la causa di tutto il male che negli anni distrusse vite e famiglie in quell’inferno travestito da paradiso. Iniziai a correre ed a gridare, attiravo la sua attenzione, ero rabbioso, ero pervaso da un sacro furore alimentato da un misto letale di rabbia e vendetta. Il senso di abbandono che avevo provato per anni trovò la sua risoluzione nel distruggere la causa di tutto. Voglio quell’essere, voglio mangiare le sue carni vive e che soffra come nei miei incubi peggiori soffrivano le sue vittime. Ed all’improvviso era lì, mi fissava grondando saliva, gridò “piccolo stupido uomo!”
Il sole era alle mie spalle, vidi la mia ombra, non riconobbi la mia forma, ero diverso, mi sentivo diverso, guardai le mie grandi mani, erano davvero le mie, le muovevo, ma non le riconoscevo. Cominciai a correre verso quel demonio, ed all’improvviso mi ritrovai a guardare l’asfalto, ero parallelo al terreno, ma i miei piedi non toccavano l’asfalto, stavo volando raso terra ed ero furente, ridevo e piangevo, gridavo fortissimo, ma non aprivo la bocca. In un istante fui su di lui, lo presi dalla faccia con le mie grandi mani, e gli chiesi “come ti chiami ora? Bastardo come ti chiami?” e lui “Albino, e tu?”

Mangiai la sua faccia, o quella che poi capii essere solo una maschera, aveva le mie sembianze, aveva paura di me ed io lo lasciai correre via, corri piccolo demonio, verrò a trovarti nei tuoi incubi peggiori per il resto della tua vita…

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