Articolo di Antonio Maria Porretti
Vi sono film in grado di assestare uno scacco matto in piena regola al tempo, anche quando il fulcro e ogni movente della loro azione si dipanano dalle spirali di un apparecchio telefonico fisso: oggetto di cui si è persa qualunque traccia negli attuali scenari domestici. Tuttavia, è mia opinione che perfino a uno spettatore di oggi, per quanto aduso a supporti tecnologici di maggior glamour performativo, una pellicola come Il terrore corre sul filo (Sorry, wrong number nella versione originale) possa ancora assicurare più di qualche capitombolo alla sua circolazione sanguigna. La paura del resto è un sentimento ancestrale; possono cambiare i modi di raccontarla, ma non gli effetti divampanti che ne scaturiscono.
Tratta da un radiodramma di Lucille Fletcher – a cui venne affidata la sceneggiatura – e riadattata nel 1948 da Anatole Litvak per il grande schermo, l’intera vicenda rintocca al suono di un minaccioso minuetto con la morte. Un perverso gioco al rimpiattino tra vittima designata e assassino ignoto. La cronaca di un delitto annunciato. Tutto in una sola stanza, tutto in ottantanove minuti disposti sul quadrante di una tensione sempre più claustrofobica, come neanche il sommo Hitch avrebbe potuto narrare meglio. Tutto orchestrato da una regia che alterna sapientemente primi piani diretti sui volti degli attori, con flashback istruttivi degli antecedenti della storia. Tutto a causa di una intercettazione, quella in cui si ritrova coinvolta la protagonista, Leona Cottarell – Stevenson ( Lena nella versione italiana) ,unica erede di un magnete dell’industria farmaceutica, costretta da una patologia forse più di origine nervosa che fisica a confinarsi nella sua camera da letto. A interpretarla, una Barbara Stanwyck in conclamato stato di grazia. Proprio lei che soltanto quattro anni prima aveva cesellato il prototipo della Dark Lady in La fiamma del peccato (Double Idemnity nella versione originale, 1944) riesce a calarsi sino alla cima dei capelli, nel ruolo di una donna fragile, confusa, isterica.
Per un errore del centralino, mentre cerca di mettersi in contatto con Harry, suo marito, ella ascolta le voci di due sconosciuti intenti a pianificare un omicidio che avrà luogo quella sera stessa. Invano segnala la sua raccapricciante scoperta alla polizia. Nessuno sembra volerle dare ascolto, neppure la segreteria del marito, da cui viene informata del suo incontro all’ora di pranzo con una affascinante signora. Lena riesce a rintracciarla grazie al numero con cui ha chiamato Harry. Si tratta di Doris ( Sally nella versione americana), sua vecchia compagna di scuola, nonché ex fiamma di Harry, alla quale è riuscita a sottrarlo più per il fascino del suo denaro, per le brillanti prospettive di carriera all’interno dell’azienda di famiglia e di una vita agiata, che per amore vero e proprio.
Adesso però Doris è sposata a un investigatore che sta indagando proprio sul conto di Harry Stevenson.
A proposito di certe operazioni di riciclaggio di denaro sporco, nelle quali egli parrebbe pesantemente coinvolto. Sulle prime Lena non le crede, accusandola di volerla tormentare e vendicarsi della loro antica rivalità, poi però, un tassello alla volta, ricompone un puzzle dai colori e contorni spietati. Troppo tardi giungerà la telefonata del marito, in cui confessandole tutto, le rivela di essere lui il mandante dell’assassinio. Un Burt Lancaster soggiogante per ambiguità e doppiezza, oltre che per bellezza. Troppo tardi le ingiungerà di mettersi in salvo. Troppo puntuale alle sue orecchie risuonerà una macabra voce rispondergli: ” Spiacente, avete sbagliato numero.’.
Un caposaldo del thriller psicologico che ogni amante del genere non può non conoscere.
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