Il rifiuto. Terza parte

Racconto di Giuseppe La Licata

Ad un tratto tutto il suo corpo dovette reagire con uno scatto convulso e isterico, come attraversato da una eccitazione elettrica, quando fu colto di sorpresa dalla sensazione di un contatto fisico. Gli sembrò di distinguere l’ombra di una mano e se il sogno non lo tradiva, in quel momento percepì il movimento lento di una carezza che scivolando sulla superficie perfetta di quella sfera ne rivelava ora anche una singolare qualità nervosa, una sensibilità acuta, ardente, come l’oltraggio di una tortura. L’intensità della sua percezione si acuì, mentre il soffio tiepido di quell’ala sulla materia fredda e inerte del suo nuovo volto si trasmutava nella vertigine di una seduzione violenta. Una tempesta di sensazioni gli si stava scagliando addosso e per quanto stremato un unico desiderio prevalse ostinato e martellante, quello di opporsi con tutta le sue forze contro quella tenerezza scandalosa, di sottrarsi al gesto insolente di quella mano che con la dolcezza di un artiglio perlustrava senza pudore ogni più piccola porzione della sua nuova pelle grigio azzurra. Indugiò dal suo proposito perché una calma lenta cominciava ad infiltrarsi e per istinto rispose con un respiro denso e profondo. L’onda lunga di una nuova marea lo accompagnò ai margini di una deriva dove un lembo sottile di grani di sabbia filtrava il suo respiro. Fu allora che l’onda si fece suono, poi canto, poi parola:

Ho sempre saputo chi sei per essere io frutto della tua stessa ferita, per aver attinto in questa terra sterile allo stesso pozzo; ora il vento soffia e urla dentro le nostre teste e non è certo una carezza la sua; per questo ti ho seguito e ti ho raggiunto. La parola il mio corpo; il mio silenzio il tuo breve sonno. Parole e silenzi incollano le nostre vite. Un tempo guardavamo da un’altra parte e per imbrogliare la solitudine ci lanciavamo nel verde dei cortili; l’evidenza non aveva ancora sfregiato la nostra immaginazione. Ora l’involontario passante di questo piccolo viaggio si è fatto, quasi per abbandono o per astuto fallimento, scrupoloso esploratore di labirinti, catalogatore attento delle più squisite fermentazioni; per ogni dettaglio c’è sempre un posto in quella scatola metallica, per ogni dettaglio la presunzione di una piccola verità. Una vera passione da esorcista ha conquistato il tuo cuore; eccolo qui, l’esorcista cosmico delle piccole verità, dalle quali amico mio, il tuo sogno è forse estrarre un’avanzo di vita; certo un avanzo di vita è ancora un tenero spiraglio contro l’ inquieto rantolo del tempo; e mentre il tuo sguardo strabico s’inoltra incauto verso l’abisso inebetito di questa terra, lì dove si confonde con lo stesso mare che ti ha insegnato a nuotare, ti sembra d’intravvedere la linea di un’orizzonte dove i riflessi della città, della tua casa, e della tua valigia finalmente riposano. Da lì potrai scorgere come il frutto della tua affannosa ricerca, la ragione di quell’avanzo di vita, tra misture di rifiuti e ammassi di sedimenti, dove finisce per spappolarsi di fronte ad un solo volto ed un solo nome: Olaf”

Olaf..Olaf …Olaf… quel nome rimbalzò tra le pareti metalliche della sua testa riproducendosi in una sonorità gelata. Un pezzo di memoria venne giù dal lato destro sgretolandosi in una pioggia di particelle che si dispersero in una pozzanghera. Si concentrò su quella macchia liquida e dopo una scrupolosa osservazione, il fuoco della sua vista centrò una minuscola goccia biancastra; galleggiava sul resto della superficie acquosa e con movimenti convulsi si dimenava come potrebbe fare una piccola medusa intrappolata tra le spire di uno stagno, poi scivolò sul fondo. Con l’occhio fisso sul punto magico di quella sparizione, gustò l’attesa; ancora una volta l’attesa lo ricompensò, quando si accorse che nello stesso punto, dove la sua presa non aveva mai mollato, qualcosa dal fondo cercava di risalire; qualcosa che gli sembrò familiare, più che familiare profumava di un’intensità segreta; qualcosa che sentiva appartenere a quella zona incerta e sbiadita che un tempo avrebbe riconosciuto come terra dei ricordi. E come l’ombra di un ricordo riflesso in quello stagno, il volto di un uomo riaffiorava sempre più nitido ora dentro e fuori di lui, fuori e dentro di lui. E quando gli occhi dell’uomo, amplificandosi nella risalita, sprofondarono come due pietre viventi nei suoi, si trovò con innocenza a pronunciare il suo nome. Olaf…Il suo nome…o il tradimento di un lapsus……Era suo quel nome, se per una pressione interna che dai polmoni risaliva fino alla superficie delle labbra, si trovava a ripeterlo con la spinta compulsiva di un tic involontario? Era certo suo quel nome se sentiva crescere lo stupore di chi scampato per puro caso al naufragio della smemoratezza vagolava ora leggero tra le vie notturne di un presunto mondo interiore? Non rispose a nessuna domanda, non cercò alcuna risposta, ma come chi arriva al Dunque senza plausibili spiegazioni riaprì gli occhi per sorridere alla panchina che non lo aveva mai abbandonato.

Post correlati