Il peso. Liz Moore e la necessità della leggerezza
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Il peso del corpo, i pesi dell’anima; entrambi stanno lì, guardinghi, a ricordarci che la marcia verso la felicità è spesso una traversata infausta. Colpo dopo colpo, anima e corpo vengono degradati, deformati, da convenzioni che la società impone, da regole che non abbiamo sottoscritto, ma che ci vengono imposte. Il senso del romanzo di Liz Moore è soprattutto questo: la necessità della leggerezza e di abbandonare la paura.
Arthur, Charlene e Kel. Tre personaggi, tre protagonisti, tre individui appesantiti dai rimorsi, dai ricordi, dal terrore di essere giudicati. Non sperano in niente e hanno smesso di ricercare ogni soluzione che ponga fine ai loro drammi. Obesità della carne e obesità del cuore si incontrano, si mischiano; l’una appartiene all’altra, l’una non riesce ad accettare la presenza dell’altra. Il risultato non può che essere scontato: isolarsi nel proprio mondo.
Cos’è la leggerezza? L’unica risposta che riusciamo a darci fin dalle prime battute di questo romanzo è la seguente: amore. L’amor proprio e quello per il prossimo che tendono a un unico comandamento: accettare ciò che non può essere cambiato. L’essere umano ha orrore del vuoto. Ogni volta che viene a contatto con l’assenza della pienezza, il campanello d’allarme inizia a suonare e comincia una fase distruttiva attraverso cui tutto va riempito. C’è chi sceglie la via del cibo, chi quella della droga, chi quella farmaceutica, chi quella dell’apatia. Nonostante tutto, ogni cosa diventa commestibile, anche se provoca malanni. Non c’è fine peggiore per un uomo che sorridere davanti alla propria autodistruzione.
C’è stato un tempo in cui Arthur, ex professore di Letteratura, e Charlene, ambiziosa ma timida, sono stati vicini e hanno coltivato un amore platonico, anzi un reciproco soccorso; poi si sono persi di vista, fin quando lei non riappare telefonicamente, chiedendo ad Arthur, ormai esiliatosi in casa e pronto a uccidersi con il cibo, una mano per Kel, il figlio nato da un amore sbagliato. Ed ecco un’opportunità per tutti e tre, messa in mezzo da quella vita in cui loro non credevano più.
Detta così, Il peso sembra una storia strappalacrime, l’ennesimo romanzo con un lieto fine già impresso nella quarta di copertina. Invece no, ogni storia ha i suoi colpi di scena e anche questo libro ne ha parecchi. La quotidianità segue le sue trame. Gli uomini pensano di governare ogni aspetto, pretendono addirittura di suggerire al destino i particolari, ma a loro è data solo la possibilità di assistere, di essere parte del gioco. Liz Moore scrive un libro esistenziale, in cui nulla si crea e nulla si distrugge, in cui ogni cosa si trasforma e si trasfigura, fino a giungere a quell’eccezionale staticità in cui riposa l’incomprensibile senso delle cose.
Vita e morte, carne e spirito, pesantezza e leggerezza. Tra di loro lo scontro è brutale ma, come insegna l’esistenza, dolce può essere la pace. Bisogna solo saper leggere tra le righe, visto che questo romanzo, scritto con apparente chiarezza, richiede pagina dopo pagina una certa propensione alla riflessione.