Il paradosso dell’ossigeno. Lucia Valcepina e “la ricerca di un equilibrio”
Recensione di Anna Vallerugo
Aphra, ex attrice di talento e la figlia Giulia stanno percorrendo un breve tratto su treno regionale, quando questo si ferma per un guasto in mezzo a una galleria. Costrette dal caso a dover condividere per qualche ora uno stesso spazio limitato, sospeso, trovano finalmente il modo di aprirsi a un dialogo mai goduto prima e ad appianare asperità decennali, identificando insperati punti di comunione in quell’apparente abisso tra la vita sopra le righe dell’una e i troppi silenzi conservati per lungo tempo dell’altra.
Sarà un percorso non facile, ad ogni modo, le due donne sono lontane caratterialmente: evanescente, inaffidabile, istrionica, certamente auto-riferita la madre, che porta nel nome stesso un destino (così volle battezzarla il padre, da Aphra Behn, drammaturga inglese del diciassettesimo secolo, instradandola verso un’esistenza d’arte, recitazione, finzione); concreta e generosa Giulia, indipendente un po’ per temperamento un po’ per battaglie che si intuiscono attraversate. Ha fatto altre scelte, non cerca validazione negli applausi, nella benevolenza di un fugace sguardo altrui, è riuscita a trovare equilibrio nel rapporto straordinario con il proprio figlio. Ma sa che è arrivato il momento di trovare il coraggio di rendere conto dei vuoti della sua vita.
È un buon breve romanzo d’esordio Il paradosso dell’ossigeno (Dominioni Editore) di Lucia Valcepina, attrice, performer, collaboratrice culturale del quotidiano La Provincia di Lecco, Como e Sondrio. L’autrice sceglie un’ambientazione claustrofobica, uno stretto vagone in cui attendere che tutto riparta, dalla motrice guasta alla vita stessa: così facendo imprime ai suoi personaggi una pressione intollerabile, a far portare a galla l’inespresso e l’essenziale, forzando le resistenze di Aphra, il suo tenace aggrapparsi a un’esistenza di sola arte e portandola ad affrontare le proprie responsabilità, ma anche di Giulia, che renderà finalmente conto delle proprie asprezze.
Entrambe complesse e reali, portano in sé umanissime contraddizioni, vittime di quel paradosso dell’ossigeno da cui il titolo: un principio scientifico, in realtà, che vede nell’elemento la fonte della vita e, al contempo, la principale causa di degenerazione e morte delle cellule. Così è anche per le due donne, per Giulia in particolare, che ammette che la sua esistenza è in fondo improntata sulla molla vitale che vuole che tutti i desideri, le passioni, i sentimenti che ci sembrano irrinunciabili siano la nostra fonte e la nostra condanna.
Lo stile di Lucia Valcepina è delicato, congruamente asciutto, misurato, particolarmente consono al tono intimo, quasi confessionale con cui Giulia e Aphra affrontano ruoli e aspetti più dolorosi della genitorialità. Un linguaggio piano, senza concessioni al melenso, a raccontare la potenza anche del più imperfetto rapporto madre-figlia: perché a fine lettura, attraversata ogni battaglia, questo rimane.