Il male oscuro. Giuseppe Berto e l’immortale persecuzione
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Libroguerriero
Forse a Giuseppe Berto mancò un incipit o una parola capace di stappare col botto quel contenitore di parole che soggiace serenamente in fondo all’anima prima dell’atto creativo? O forse è stato proprio quel tormento sibillino, costante, che mai si zittisce, a dar forma ai pensieri che poi ha impresso su oltre cinquecento pagine? Non sapremo mai cosa spinge un essere umano a prendere una penna in mano e a dare l’anima; certamente, quando la scrittura di un autore ci appare senza veli, intuiamo che qualcosa che alberga tra cielo e terra lo ha mosso.
Il male oscuro viene pubblicato nel 1964, in pochi mesi si aggiudica il Premio Viareggio e il Premio Campiello. Il libro sovverte tutte le strutture del romanzo fino ad allora concepite anticipando, addirittura, quel verso infinito che dopo mille perfezionamenti farà la fortuna di Thomas Bernhard. Allora, ecco entrare in campo quello che Giorgio Agamben ha chiamato il Genius, colui al quale veniamo affidati fin dalla nascita e che ci guida, ora con l’intuizione, ora con la voce interna, ora con un atto creativo disinteressato, durante il compimento dei nostri atti più puri, in cui il corpo esegue con calma ciò che il furore dell’anima ordina.
Non può essere andata altrimenti a Giuseppe Berto, scrittore che andrebbe recuperato e studiato. Il male oscuro è il racconto di una persona in psicanalisi. Sembra la continuazione de La coscienza di Zeno, con la sola differenza che nelle pagine di Berto sopravvive un flusso disperato di coscienza che trascina sempre più giù l’autore, che consapevolmente vuole risolvere l’enigma dei suoi tormenti.
Ancora oggi, questo libro rimane un’opera difficile da assimilare. Il lettore sarà messo a dura prova, e non per un problema di stile o di linguaggio, ma proprio per ciò che può suscitare ogni pagina. Pochissimi capoversi, lunghe disquisizioni, ritmo ipnotizzante… è la disintegrazione dell’Io portata all’estremo. La penna di Berto è guidata dal solo Es. E poiché è l’inconscio che parla, non c’è possibilità alcuna di razionalizzare, perché anche laddove vengono descritti dei fatti, l’oggettività viene meno. Il male oscuro è percezione di un abisso e descrizione di un perturbamento.
Dannata la scrittura che tanti mostri riesce a risvegliare. Potremmo sintetizzare così questo libro che racconta la vita di un protagonista perseguitato dal senso di colpa insinuatosi in lui dopo la morte del padre: un uomo severo, ligio al dovere, che ha avuto la sfortuna di allevare un figlio scapestrato. Lui, il protagonista, il figlio, attraversa il tempo portandosi dietro quest’ombra, questo giudice, il cui corpo marcisce in un cimitero, ma la cui anima è vigile.
Così, Il male oscuro è un romanzo psicanalitico, forse l’ultimo apparso in Italia, in cui l’esistenza viene scandagliata, sminuzzata, data in pasto a un lettore che avrà il compito di ricostruire la trama. Proprio a lui, infatti, non è permessa l’equidistanza; anzi, gli viene richiesta la comprensione. Magari, anche un pizzico di sadismo.
Buona lettura.