Ifigenia al Rendano di Cosenza. La forza e l’attualità del mito

Articolo e foto di Adriana Sabato
Numerosi sono gli spunti di riflessione suscitati dalla figura mitologica di Ifigenia che si staglia dallo sfondo delle due tragedie di Euripide: Ifigenia in Aulide ed Ifigenia in Tauride. La vicenda di Ifigenia riguarda la sua famiglia sconvolta e devastata da una maledizione che ha colpito la stirpe di Agamennone, il leggendario re, capo supremo degli Achei nella guerra di Troia. Nei miti e nelle antiche tradizioni religiose accade spesso che una divinità sottoponga l’uomo a prove durissime, sia per conoscere veramente la sua fede sia per punirlo se ha commesso una colpa. Spesso il dio chiede all’uomo un sacrificio enorme che ai nostri occhi può sembrare addirittura assurdo: pensiamo al Dio di Israele che chiede ad Abramo di immolare suo figlio Isacco.
Nel mito greco l’episodio più famoso che riguarda una prova di questo tipo vede protagonista Ifigenia, figlia primogenita di Agamennone, capo della spedizione greca nella guerra di Troia. La flotta greca è ferma al porto di Aulide perché i venti contrari ne impediscono la partenza. Il sacerdote Calcante spiega che l’ira degli dei può essere placata solo se Agamennone sacrificherà sua figlia Ifigenia ad Artemide. Cosa accade a questo punto? Il mito e soprattutto la sorte di Ifigenia sono stati raccontati in diversi modi dai poeti greci e latini. Le differenti conclusioni dell’episodio danno alla vicenda significati simbolici diversi. In quella che era sicuramente la versione più antica del mito, Ifigenia subisce la sorte più tragica. Questa versione è il soggetto del dramma Ifigenia in Aulide di Euripide. Lo stesso autore rappresenta gli sviluppi della vicenda in un’altra tragedia, Ifigenia in Tauride. Secondo un’altra versione, certamente più recente perché meno violenta, al momento del sacrificio Ifigenia viene sostituita da Artemide con una cerva. È infatti proprio per aver ucciso in precedenza una cerva a lei cara che Agamennone è stato punito da Artemide. La dea, tuttavia, dopo aver dimostrato il suo potere, salva la ragazza e ne fa una sua sacerdotessa.
Ed è questa la versione rappresentata dai 31 studenti del Liceo classico Bernardino Telesio di Cosenza al teatro Alfonso Rendano, intitolata “Ifigenia da Aulide a Tauride” di Antonello Lombardo e Officine teatrali telesiane, (questo il nome della Compagnia teatrale) e con gli adattamenti dei testi di Flavio Nimpo.
Dopo averla sottratta alla morte, Artemide trasporta Ifigenia nella lontana regione dei Tauri, in Asia, dove sarà sua sacerdotessa. I barbari Tauri, come usanza, uccidono nel tempio di Artemide tutti gli stranieri che giungono nella loro terra. Ma un giorno approda fra loro Oreste, il fratello di Ifigenia, in compagnia dell’amico e cugino Pilade: devono condurre ad Atene una statua di Artemide sacra alla città. Ifigenia non vedeva Oreste da quando questi era appena nato, ma dopo diverse peripezie i due si riconoscono. Ifigenia nasconde gli stranieri e alla fine riesce a fuggire dalla terra dei Tauri riportando ad Atene la statua sacra. Questa versione sottolinea l’imprevedibilità della sorte e delle vicende umane, nelle quali la verità e l’apparenza spesso si confondono fra loro traendo in inganno l’uomo. In tragica sintonia con i vissuti bellici attuali emerge anche, la riflessione sulla follia della guerra che comporta il sacrificio umano dei propri figli. Ifigenia in Aulide incarna la vittima innocente di una guerra alla quale viene sacrificata prima con l’inganno, e poi, a decisione presa, con la manipolazione della mente, affinché arrivi a considerarsi quasi privilegiata nella morte inflitta per una causa che la renderà celebre.
Così, con una sorta di esaltazione patriottica (e demenziale) è lei stessa che si immola, si sottomette ai suoi aguzzini e ne ‘sposa’ le motivazioni brutali e folli. Ma ecco, nella trama imprevedibile e nell’esito della Ifigenia in Tauride forse una risposta: Oreste fuggiasco approda in un’isola dove la sorella Ifigenia, sottratta alla morte per volontà della dea, è divenuta sacerdotessa. I due dialogano e, nelle loro parole, si riconoscono. Insieme riescono allora a raggirare uomini e dei e a salpare, per sempre liberi. Non la violenza ha dato frutti, ma un sincero fermarsi l’uno di fronte all’altro e darsi tempo per riconoscersi. Quanto servirebbe oggi imparare bene questa lezione! Il coro chiude la scena: “Andate felici, voi siete fra chi si salva, fortuna v’arride”. Al termine, teatro nel teatro, Ifigenia, Oreste e Pilade si ritrovano in abiti contemporanei ad evidenziare la forza di una storia ancora attuale. Un grande successo sottolineato dai lunghi applausi del pubblico di un Teatro Rendano stracolmo.