Guerra. Céline e la volontà di vita

Recensione e foto di Martino Ciano. In copertina: “Guerra” di Louis Ferdinand Céline, Adelphi, 2023
Non potremo mai sapere cosa sarebbe diventato “Guerra” di Céline, certamente già così, in formato manoscritto, è un piccolo gioiello che brilla dello stile dello scrittore francese. Composto di sicuro prima dell’uscita di “Morte a Credito”, visto che alcuni elementi presenti tra queste pagine sono confluiti in quel romanzo, lo scrittore francese ha unito elementi autobiografici e fantasia, creando un ricco quadro di eventi e riflessioni che spiazzano il lettore.
Ferito sul campo di battaglia della Prima Guerra Mondiale, Ferdinand si trova in un ricovero non molto distante dal fronte, ma pur sempre al sicuro. Viene catapultato tra mutilati e sofferenti, tra esseri umani che la sua penna rende grotteschi.
Anche lui ne fa parte, anzi è il personaggio intorno al quale tutto ruota. Anche se in quelle condizioni la vita farebbe schifo a tutti, ognuno si aggrappa come può alla salvezza; addirittura, qualcuno si è anche sparato a un piede per sfuggire alle bombe, ai proiettili e agli appostamenti in trincea. Poco importa se poi sarà fucilato per il suo gesto vigliacco, basta averci provato.
Ferdinand, insieme ad altri, si aggrappa al sesso, al piacere che gli offre una infermiera avanti con l’età, ma che ancora ha voglia di maneggiare, assaggiare, infilare un po’ dappertutto ciò che è rimasto in vita. Come per “Morte a Credito”, anche in “Guerra” il sesso è onnipresente, domina la scena come se fosse l’ultimo barlume di vita da tenere in sesto.
L’autoerotismo che scalda i motori di questi mutilati è un grido che squarcia la solitudine e ha il compito di preparare alla vita. Ogni perversione, ogni audacia sono riti che celebrano l’unica cosa che può alimentare la volontà di vita, ossia la sessualità istintuale, animalesca. Questa forza si muove tra la morte, tra la malattia e tra la disperazione.
Che poi Céline racconti tutto con estrema naturalezza, accentuando gli elementi ironici e sarcastici, è parte del suo stile e proprio grazie a esso ha sempre mascherato quella vena sensibile, intima che attraversa i suoi racconti.
La sua guerra è in testa, in quella ferita che, una volta cicatrizzatasi, si manifesterà per tutta la vita attraverso violente emicranie. Questo elemento autobiografico è l’incipit del racconto, forse anche il tema dominante. L’estrema sessualità che Ferdinand sperimenterà nelle retrovie è, per l’appunto, quella forza cieca e istintuale che domina l’uomo nei momenti in cui deve salvarsi. Nessun nichilismo, nessun cinismo, ma un amore per la vita che si cristallizza per altre vie.
Senza volerlo, anche se non conosceremo mai le sue reali intenzioni, Céline scrive un romanzo che “puzza” di Schopenhauer, in cui la negazione della vita è espressione della stessa volontà di vita. Ed è così ben architettata e messa in mostra questa contraddizione, che appare chiaro come un romanzo del genere possa essere frutto solo dell’esperienza diretta dell’autore con la guerra. Vero, è un racconto; vero anche che molti elementi sono inventati; ma persino la fantasia ha bisogno della realtà e di qualcosa di empirico per esprimersi al meglio.
La guerra di Céline è una minaccia per l’individuo e per la specie umana, ma anche una dichiarazione di amore per la salvezza. Leggere questo “manoscritto” vuol dire comprendere la vena più “umana” dello scrittore francese.