Gli uomini raccontati dagli animali. Riflessioni a chilometro zero. Seconda parte

Articolo di Riccardo Benvenuto

Il surrealismo viene ancora arricchito. Non completamente appagato della sua naturale vocazione da quaglia, il soggetto umano, preso da impeto d’orgoglio, mimetizzandosi tra lo sparuto numero di autoctoni, a proposito dell’inquinamento marino, di maleodorante spazzatura ammucchiata nelle strade, e del luridume in genere che hanno caratterizzando l’estate, tira dal cilindro un’altra delle sue teorie.

Secondo il principio dell’io, che gli conferisce titolo di deroga a tutte le regole sociali e di diritto. Non solo: secondo lo stesso principio, l’indigeno, credendosi il solo depositario dei valori e del destino delle comunità, pensa di essere l’unico a potersi esprimere sugli argomenti che coinvolgono lo stato sociale. A dire il vero, di questo principio non può vantarne l’esclusiva. Esso è condiviso con mirabile spocchia ed arroganza da chi ha sposato la sua causa.

In base allo stesso principio, con apprezzabile sforzo, prende coraggio e dà fiato alle corde vocali, sino ad un istante prima bloccate dalle continue deglutizioni di saliva. Nel parlare, oltre a dar prova della sua stessa esistenza, scopre la sua natura di struzzo, che lo completa nella sua vocazione di quaglia. Un vero fenomeno. Forse non lo avete mai visto da vicino ma di sicuro lo conoscete. Parliamo dello struzzo: l’uccello gigante dalle zampe lunghe e dalle magnifiche piume bianche e nere.

Quell’uccello che, secondo Aristotele avrebbe una natura ibrida, mezzo uccello e mezzo mammifero  di terra. Sì, proprio lui: quello strano “gallo” enorme che tutti conoscono per quella sua mania strana di cacciare la testa sotto la sabbia. Si dice che lo faccia quando ha paura e non vuole essere visto o non vedere. Per questo motivo anche fra noi umani diciamo “non fare lo struzzo” a chi ha paura e tenta improbabili difese “da struzzo”.

La sua incapacità di volare lo ha reso simbolo dei bestiari medievali dello scontato e dell’ipocrisia; esso rappresenta l’incapacità di lasciare il mondo, il terreno. Lo stomaco dello struzzo è proverbiale: è solito inghiottire corpi esterni specialmente se brillano e “cibi” che restano nel ventriglio dove vengono lentamente “tritati”. Ciò ha dato vita all’espressione metaforica “avere uno stomaco da struzzo” – cioè “avere uno stomaco di ferro” – capace di inghiottire anche il ferro. Da qui in senso traslato anche le peggiori offese.

Con gli ammiccamenti degli amici di cordata, che, meritano avere un posto nel bestiario (è già in fase di studio), prende più coraggio ed affonda i colpi con la solita brillantezza che lo distingue. La sua attenzione è rivolta a quelli che, hanno avuto l’ardire di rendere pubblico le catastrofi ambientali. L’aver tenuto spesso, da struzzo, la testa sotto la sabbia, e, quelle poche volte che ha sollevato lo sguardo al suo orizzonte da quaglia, non gli ha permesso di accorgersi di ciò che lo circonda.

Lui si rifiuta di vedere il putridume maleodorante ammucchiato per la strade, quel sottofondo costante e puzzolente che ci accompagna per le strade, dentro casa, davanti ai bar, alle vetrine, nei mercati. Non vuole sapere delle violenze verbali e fisiche, delle sparatorie, degli accoltellamenti. Non vuole nemmeno sapere dei tantissimi adulti e bambini corsi al pronto soccorso degli ospedali che non sono più tali, o dai medici locali, con infezioni sulla pelle, sugli occhi. Non vuole sapere che il mare è in serio pericolo.

Ma soprattutto non vuole che si dica per il buon nome, di una economia precaria da sempre, ora ridotta allo stremo. Pensando da struzzo, crede di risolvere i problemi ignorandoli, sottacendoli, anche negandoli, continuando a fare l’ignavo. Tipico è il suo linguaggio gestuale, quando, con spalle raccolte, vuol dire “io non c’entro – non ne so niente – che ci posso fare”. La sua natura di individuo solitario ed individualista, gli fa pensare che, delle azioni politiche o pseudopolitiche, dietro le quali, spesso, vengono  grossolanamente nascoste vere e proprie  rappresaglie, lui stesso, pur condividendole, anche con eloquenti silenzi, non è responsabile.

Che strano modo! A  noi, tanto per citare Manzoni, non resta che aspettare una bella pioggia purificatrice; meglio specificare a scanso di ogni equivoco: di coscienze e di consapevolezza, si intende.

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