Giuseppina Sciortino e le sue visioni in versi. Tra amore e abbandono
Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Gli amanti dei libri
Ha ragione Fabio Orrico, che ha firmato la postfazione di questa raccolta di poesie, siamo di fronte a un “romanzo in versi che narra una storia di emancipazione”; nel caso specifico, la fine di una storia d’amore, con tutte le sue quotidiane angherie.
Giuseppina Sciortino scrive questi versi in un momento particolare, il Lockdown del 2020, quel primo periodo di “chiusura forzata”, durante cui ognuno di noi ha potuto fare i propri bilanci, pagando doppiamente le spese.
L’abbandono secondo Sciortino non è uno status, ma un luogo, anzi meglio definirlo un limbo in cui vivono fantasmi che lottano per vedere la luce. Ma in questo spazio di riflessione, in cui nulla si dissolve del tutto, non sono la tristezza e il rimpianto a dominare, bensì l’ironia e il disincanto.
Ciò che è finito o ciò che ha deciso di abbandonarci non torna e non può essere rivissuto, ma si presta solo al giudizio. In poche parole, il passato è un fatto compiuto, un panorama che può essere solo avvistato in lontananza. Certamente porta con sé la sua lezione, e forse solo questa è la parte interessante del discorso, il resto è malinconia. Ma ne vale la pena?
E così l’autrice si aggrappa alla quotidianità e in essa trova “ricordi”, segni che rimandano indietro nel tempo, visioni che sanno parlare ma da cui bisogna prendere le distanze… a patto che si voglia guarire davvero dal male d’amore.
Una raccolta poetica ricca di suggestioni, in cui versi minimali e taglienti si incastrano in un lungo discorso sull’abbandono. Discorso che evita ogni accento patetico e il cui fine è proprio quello di deridere, anche se amaramente, il passato e ogni suo malanno.