Girandole e palloncini
Racconto di Francesco Di Giorno
La routine ammazza la vita come una goccia d’acqua tiepida che ti sfiora il volto. Sei qui che respiri affannato i tuoi domani come tanti piccoli oggi di cui non ti accorgi. Il cielo oggi è plumbeo e anche lui sogna il paradiso. Le carte si ammassano, le urgenze si inseguono, mentre tu sei in stand-by come la fotocopiatrice. Gli squilli del telefono rimbombano di malinconie e privazioni.
Siamo in un mondo meraviglioso dove l’uomo è nato per servire un altro uomo, alcuni la chiamano schiavitù, altri compassione.
Si annullano i pensieri tra moduli e raccomandate. La faccia è di gomma, di quella che prende la forma delle tue sensazioni. Passa un camion che trasporta coca-cola e pensi che un sorso ora ti rinfrescherebbe le idee. Vedo tante imposte chiuse e altre sono semiaperte, mezzo addormentate, come i miei occhi appesi al PC. Una signora stende la biancheria, un’altra la ritira. Entrambe in pigiama. È pomeriggio inoltrato e sognano la luna perché guardano in alto. C’è una girandola arcobaleno che gira e gira su un piccolo balcone pieno di vasi, fiori colorati, cactus. Il balcone di fianco non ospita nulla, solo una girandola timida e la tapparella è completamente abbassata.
In strada c’è una mamma e con lei due bimbi con dei palloncini colorati e sono felici.
È un giorno strano, tutto curvo e poco onesto. Pian piano il cielo diventa di un grigio scuro monocolore e non porta con sé nessuna nuvola. C’è un silenzio dannato, non chiaro, come se volesse dire qualcosa ma non parla. Sui volti delle persone oggi vedo formarsi ricordi, ognuno diventa la faccia del suo passato, con le rughe che delineano quelle amarezze che lascia la felicità del vissuto.
Tu sei una persona fantastica, sei libera, sei il tuo passato ma puoi essere anche il tuo futuro. Conosci il tuo presente ma non ne apprezzi il valore tra scartoffie e squilli imperiosi.
Hanno abbattuto qualche albero poco più avanti, ce n’erano di grossi che intralciavano la strada e spaccavano i marciapiedi con le loro prepotenti radici. Tu agisci secondo natura, devi per forza fare qualcosa, non chiedi permesso e sei un essere meraviglioso. La solitudine e la mancanza d’affetto si trasformano in odio contro tutto il genere umano e contro la natura tutta. Sei un fantastico bipede sociale che sa apprezzare la sua essenza profonda. Sei un fanatico della tua immagine che vedi rappresentata dappertutto. Ora bevo un po’ d’acqua per calmare la mia sete. Ho il fuoco dentro. Ho le viscere che fumano. Ho la testa che scoppia e ho un cumulo di pratiche da gestire.
Non voglio pensare che ci unisca solo il dolore, che solo a causa della peste riusciamo ad aiutarci. Sono solo, come la girandola timida che insegue la sua missione, sono assurdo, come la tapparella abbassata che non fa passare un filo d’aria, sono come il pigiama delle casalinghe sognatrici, usato. Cedono le tue membra, cede il tuo spirito, ti ostini a camminare e non sai neanche dove andare. Ma sei meraviglioso, seduto al PC a controllare le mail di lavoro, a inserire dati personali, a compilare raccomandate urgenti. Io non mi sento così protetto, non mi sento così sicuro, io non sono fantastico come te che stendi i panni, che abbassi la tapparella, che metti due girandole a girare su un piccolo balcone. Io ho paura. Bevo acqua fresca e non apprezzo il suo immenso valore mentre lo faccio. Corro dietro agli altri come se fossi una girandola timida.
Vedo quattro alberi con le foglie secche sui rami, sono di un rosso scuro. Il primo è completamente spoglio, ha solo rami rinsecchiti come tante mani e braccia che si slanciano cadaveriche verso il cielo. Il secondo è un po’ più vivo. Il terzo è rigoglioso ma piccolo, il quarto è gigantesco e pieno di foglie. Preferisco guardare l’albero grande e vigoroso anche se mi sento come quello piccolo privo di vita: potere della immaginifica speranza.
Sta imbrunendo e ci sono due lampioni. Uno si accende di una luce gialla squallida e fioca, l’altro non vuole saperne e rimane col collo proteso sulla strada, sotto l’albero in fin di vita, vicino al balcone con le girandole.
Quando capisci che è arrivata la fine? Non la fine dei tuoi giorni, ma la fine della tua forza, quella che ti permette ancora di sognare, che ti permette ancora di cambiare, che ti permette ancora di sperare. C’è un’età in cui capisci o avverti che vivrai senza slanci per il resto dei tuoi giorni, fino all’ultimo istante? Un momento in cui dirai a te stesso che anche tu sei stato buono un giorno, ma ora non più? Io ho paura, non voglio odiare nessuno. Voglio continuare a vedere il buono delle persone, soprattutto di quelle che si chiudono in casa con la tapparella tutta abbassata, con una girandola come guardiano che allontana i piccioni. Sono stanco come quell’uomo che ora apre la tapparella. Ha la faccia di gomma.
È ora di chiudere. Spengo le luci così non guardo la mia faccia attraverso il vetro. Rimango un attimo al buio e sbuffo. Ho paura, ma devo farlo.