Ginevra, o del non sapere

Racconto di Rino Garro. Foto in copertina di Martino Ciano. Questo racconto è già stato pubblicato per il periodico “L’immaginazione”, n.306, luglio-agosto 2018, edito da Manni editori
E così mio fratello, sua moglie e Ginevra, la figlia di tre anni che si esprime con più proprietà lessicale del mio amico Vincenzo, sono finalmente partiti in macchina per Cosenza. È un lungo viaggio, sull’autostrada ci saranno caldo e traffico e lavori iniziati sessanta anni fa, e sarebbe davvero un peccato terminarli proprio adesso, verremmo meno alla nostra solida capacità di sopportazione.
Hanno caricato e spinto a forza un sacco di roba, più che altro borse, borsoni e barattoli vuoti che avevano portato colmi di vettovaglie e marmellate e conserve i miei genitori e che saranno ancora più pieni e genuini, nel senso migliore e gratuito del termine, quando tra dieci giorni dalla Calabria torneranno in qua. Li ho aiutati anch’io in un certo senso, ho giocato con Ginevra mentre loro sudavano andando in su e in giù per le quattro rampe di scale, però pure io sudavo a tenere testa alle richieste di mia nipote che ripeteva “A che gioco giochiamo ora?”, e dopo tre o quattro minuti “E ora?”, e un attimo dopo “Tu fai il serpente, io la scimmia… Non così, il serpente striscia e muove le lingue.”
Più volte ho chiesto a mia cognata se non si sentisse stanca, se per caso il bagaglio che aveva tra le mani non fosse troppo pesante. Rispondeva, col respiro fondo, che non avrebbe potuto chiedermi anche questo, dopo avermi già disturbato. Lei certo non sentiva il mio affanno, non vedeva quante poche energie mi erano rimaste, la fantasia ormai volata via, mentre Ginevra correva e saltava e rotolava senza tema del pericolo che induceva. Rideva, ridevo, ma a poco a poco la scintilla si spegneva.
Poi finalmente mio fratello ha detto “Pronti! Ginevra, dai che partiamo! Andiamo dai nonni, andiamo al mare blu”, mentre io pensavo, a occhi chiusi “Sono pronto anch’io, ma per sprofondare in un letto!”
“Ehi, dove vai?” gli ringhia mia cognata sul collo. “Ci sono ancora le piante da sistemare, e poi non scordare di chiudere l’acqua e il gas, di controllare se tutto è in ordine!”
Così, con profondi e mesti sospiri ritorniamo alle nostre occupazioni. Ginevra adesso stringe in una mano pennarelli colorati, nell’altra un paio di fogli bianchi formato A4. Vuole che le faccia un disegno e spinge i fogli sulle mie gambe, sotto i miei occhi. Provo a riempire il bianco con qualche linea di diverso colore, senza sapere e capire quale sia il capolavoro. Ginevra segue attentamente i miei movimenti storcendo la bocca. Allontano il foglio. È un cane, un cavallo? E quella, una bambina o una pecora?
“No, non così!” urla Ginevra. “Spongilo.”
“Che cosa spongilo?” chiedo.
“Disegna, qui” fa lei, indica uno spazio bianco.
Provo a tratteggiare un cerchio e degli occhi per qualche animale preistorico, ma Ginevra piagnucola “No no, spongilo.”
“Non lo so cosa dici”, continuando a elaborare ghirigori, a caso. “Va bene, adesso?”
“No, non così”, e a un tratto mi afferra la mano e scoppia a piangere.
“Ginevra, ti prego, non ho capito…” Mi sento completamente perso, sul punto di piangere anch’io.
“Spongilo” continua a dire lei tra i singhiozzi, le lacrime le riempiono gli occhi e le invadono la bocca.
Mi sembra un’ingiustizia non poterla aiutare, ma d’altra parte ha solo tre anni e non potrebbe esprimersi meglio di così. Se poi parlasse Vincenzo, capirei ancora meno.
“Devi disegnare Spongebob” fa mio fratello spiando dalla porta.
“Che cos’è? Chi è?”
“Un personaggio dei cartoni animati, ha la testa quadrata e buchi come la groviera… È una spugna.”
“Una spugna?!”
Ginevra piange e dice “Spongilo, Spongilo… disegnalo quiii!” con una cantilena che quasi mi strappa gli schiaffi dalle dita.
“Ma non l’ho mai visto, bella…” cerco di difendermi da lei, adulando.
“Disegnalo quiiiii!”
“E fai uno sgorbio qualsiasi” urla mio fratello.
“Ma perché non vieni tu?”
“Ti sembra che sto a divertirmi, secondo te?”
“Guarda che ti faccio un piacere, sei tu che parti!”
“Perché, hai meglio da fare, oltre che andartene in giro tutto il giorno a zonzo? Poi però ogni volta che torno ti precipiti a reclamare burrate, bocconcini e mozzarelle, e pomodori sottolio e soppressate… Tutti genuini, tutti gratis.”
“Non paghi certo tu…”
Ci pacificano solo le urla acute di Ginevra, che ricomincia la sua tiritera: “Spongilo, disegna Spongilo, quiii!
“E fai uno sgorbio, una testa quadrata e quattro buchi… che ci vuole, impedito!”
“Ma chi è questo Spongilo, questo cretino, e chi li inventa questi animali…”
A denti stretti, traccio linee approssimate; Ginevra si aggrappa alla mia mano e considera molto seriamente il mio lavoro. Un po’ per volta le torna il sorriso. A me sembra di aver scalato una montagna. Di respirare aria così cristallina da far star male, non solo me.
“Spongilo, Spongilo” dice battendo le mani.
“Ma chi cazzo è?” penso ancora, mentre la PT Cruiser è ferma al semaforo e Ginevra dal lunotto mostra il suo più luccicante sorriso. Di colpo, affrettando i passi, mi sfiora l’idea che forse potrei partire insieme a loro. Qualche giorno di vacanza al mare, al sole asciutto. Perché no. È il verde che brucia le speranze. Ginevra soffia sul vetro e con l’indice vi imprime linee invisibili, come piccoli cerchi in un quadrato, intanto che l’auto e il suo viso via via rimpiccioliscono.
Mi mancherai, piccola, assai. Quando stasera, tornato a casa, mangiando sul divano qualche briciola di qualcosa, farò zapping davanti alla TV fino al mattino. Fino a stordirmi di niente.
Che cosa vuol dire non sapere.