Gianluigi Pagliaro, L’ultimo canto, ArgoLibro

Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su Gli amanti dei libri

Potrebbe essere l’ultimo canto prima dell’Apocalisse, ma anche l’estremo saluto a un’epoca che fa già intravede un nuovo inizio. Le poesie di Gianluigi Pagliaro si rivolgono a chi si sente intrappolato in questa atmosfera incerta e senza appigli, senza etica, priva di dialettica. Le parole del poeta lucano sono riflesso di una scelta che deve fare i conti con l’incertezza.

Se nulla è eterno, soprattutto il sapere, allora, ogni concetto esaurisce la sua forza nel momento in cui siamo pronti ad abbracciarne degli altri. Ed è proprio per questo motivo che consideriamo la nostra vita una continua evoluzione, sottomessa a un divenire che ci spaventa e che ci attrae in egual misura. E sempre per questo motivo diventiamo facili prede della confusione.

L’ultimo canto di Gianluigi Pagliaro non è altro che la testimonianza del continuo logorio al quale sottoponiamo la nostra coscienza. Infatti, cos’è l’etica se non il modo attraverso cui governiamo, con la speranza di annullarla, la nostra animalità? Eppure, è proprio la bestialità la parte più vera della nostra essenza, così come la caducità è l’unica certezza alla quale possiamo aggrapparci.

Quanta pena incarniamo/a capire le cose ché sono così come sono.

È quindi la prima impressione l’unica cosa in cui l’uomo può credere? Se così è, allora “l’ultimo canto” dobbiamo dedicarlo a noi che mai riceviamo una risposta soddisfacente.

Sarà il tempo a dirci/che ci siamo ingannati/in questo dialogo muto/tra la coscienza e il vuoto.

Poiché ogni manifestazione è passeggera, noi catturiamo solo la “verità di un attimo” che trasmettiamo a tutti gli attimi conseguenti. Eppure, mai riusciamo a comprendere se siamo “la parte attiva del tempo” o entità sottomesse al suo incedere. E mentre tutto scorre, a noi resta solo la possibilità di scegliere, di agire, di essere o di non essere.

Sono giorni austeri e privi di sapere/quelli che non contempli nel vissuto e/gravidi tracimano nel grembo dell’ignoto.

Così scrive Pagliaro in una delle sue poesie. Versi in cui “indignazione” e “meditazione” si mescolano, come preannuncia Luigi Beneduci nella sua prefazione.

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