Georges Perec. Il Falsario. Voland

Recensione di Martino Ciano già pubblicata per Zona di Disagio
Tutto è ripetizione, dunque falsificazione. In letteratura abbiamo appreso questo particolare tramite Borges e Bernhard. Perec non è stato da meno, anche se il suo tentativo di creare un’unione tra logica e letteratura, in cui il testo diventi enciclopedico amore per l’accumulo grazie al quale il presente si nutre del passato con lo scopo di sancirne la permanenza, può apparire ostico e pretenzioso.
Lo scrittore francese ha messo in moto un gioco nel quale ha vestito i panni dell’alchimista. Proprio con Il condottiero, libro scritto tra il 1957 e il 1960, rifiutato e maltrattato dagli editori, buttato in una valigia dall’autore e ritrovato dopo ben trent’anni dalla sua morte, avvenuta nel 1982, Perec ha posto le basi per ciò che sarebbe stata la sua letteratura, in primis, l’amore per i puzzle, ossia per il rompicapo, l’enigma, la ricostruzione, la logica che si tuffa in una metafisica dell’anti-caos.
Gaspard Winckler, principe dei falsari, su commissione di Anatole Madera si dedica per mesi alla realizzazione di un falso Condottiero che competa in tutto e per tutto con quello del Louvre, dipinto da Antonello da Messina nel 1475. A un passo dal compimento, Winckler non riesce a portare a termine la sfida e assassina Madera. Perché? Così leggiamo dalla quarta di copertina. Il mio compito non è certamente quello di svelarvi il finale, ma di ragionare su questo perché, che in tal caso è proprio il fallace tentativo di spiegare la cosa in sé. La falsificazione di Winckler è in fondo una trasfigurazione del protagonista in Antonello da Messina, una spersonalizzazione che a sua volta deve generare qualcosa di nuovo, perché il compito della falsificazione è il contenuto di novità nel già rappresentato. In poche parole, Winckler vuole creare un originale e per quanto possa apparire paradossale, visto che il suo compito è quello di ricopiare alla perfezione, questo gioco creativo può attuarsi.
D’altronde, ci fa notare Perec in un passo del romanzo, Antonello Da Messina ha avuto bisogno di copiare Van Eyck, il fiammingo che attraverso la sua pittura fotografica è riuscito a riprodurre perfettamente la realtà, quindi a falsificarla inserendovi una novità che solo il suo animo poteva vedere a primo acchito. Ed ecco che la storia si ripete, che ogni particolare, ogni pennellata del tempo, così come quelle che si affollano sulle tele di Winckler, si accumula e solo grazie a questo noi riconosciamo il potere del passato. Rimescolati nel presente, i segni delle epoche sono come tessere di un puzzle che ognuno di noi deve riunire, fin quando l’enigma non viene risolto.
Ci riusciremo? A un certo punto, Winckler si ferma. Non riesce più a continuare e fallisce. Di qui la decisione di uccidere Madera, colui che ha commissionato Il Condottiero. L’artista-falsificatore è chiamato a risolvere l’enigma e non dovrà farlo davanti agli inquirenti, ma con se stesso.