Le luci di Cosenza

Le luci di Cosenza

Racconto di Rino Garro. Questo racconto è apparso con il titolo “Mister Tamburino”, in L’immaginazione n. 286 di Anna Grazia D’Oria e in Repubblica.it Lo dedico a mio padre, scomparso il mese scorso.

Eccomi, sono qui. Cosa volete sentirvi dire? Cos’altro aspettate dalla mia lingua dalle mille lingue, ma non biforcute? Che altro, e altro e altro ancora? Che sono un jokerman?, un jolly buono per tutte le stagioni? Fino all’eternità?

Guardo dalla finestra il colmo della notte, il nero fiato silenzioso contro i vetri dallo spazio infinito. Hai visto le stelle stanotte, amore? Hai visto come – una a una – si consumano? Babyblue, triste amore mio, tu che sei sempre al mio fianco, ascolta ciò che dirò. Canterò così. Amici, fratelli. Stanotte, come tutte le volte, è notte di luna nera, che silenziosa gonfia il cuore di cuori devastati, disseminati di croci, ma forti ancora di speranza. Una luna che cresce a dismisura e dilaga, e spande silenziosa il suo

lugubre lenzuolo, mentre tutti, sotto le coperte, fanno finta di dormire. Lunga è la notte e avara di stelle, come ormai tutte le notti. E tutto è finito, Babyblue. Per me, per te, per il mondo intero. Il cielo – da lassù – ci sta crollando addosso, lo so, ma è crollato già un milione di volte, e io e voi abbiamo il cuore duro come la pioggia che cade pietrificata e rompe gli argini dei fiumi, che diventano oceani e spazzano il lerciume che abbiamo creato. Ma in fondo alle tenebre scorgo un albore, una luce che sembra brillare da ovest a est, che appare come un senso invincibile di gioia, che spezzerà catene e paure.

Amici, fratelli, Babyblue. Canto così, con voce belante, mentre scruto il nero della notte.

Canto davvero, a occhi chiusi, la chitarra appena scordata, quando dietro di me sento sghignazzare la vocina di mia moglie: “Sempre così… basta mezzo bicchiere e gli parte la parlantina.”

È come il taglio freddo del rasoio, ma mi sforzo e faccio finta di niente.

“Mezzo di rosso e gli si confondono le idee. Si crede il salvatore del mondo, lui.”
Mi giro sorridendo: “Senti, stronza… gira al largo, va’.”
“Sei stonato come una campana!”
“Smamma, se no m’incazzo…”
“Senti tu! Invece di occuparti di cazzate, fa’ aggiustare la lavatrice e vai a fare la spesa.”
“Non rompere.”
“Ah sì? E che mangiamo per cena, la musica? Bello, i soldi a casa li porto io, tu almeno va’ a comprare da mangiare, se trovi ancora aperto.”
“Stronza.”
“Stronzo.”
“Vaffanculo.”
“Coglione… fallito!”

Chiudo gli occhi. Di colpo sento lo stomaco bollire e il sangue schizzare al cervello, ma lei è già sgusciata fuori. Io, bestemmiando, mi chiudo a chiave. Spalle alla porta, sorrido a denti stretti, col fiato grosso.

Per un po’, attraverso i vetri della finestra, seguo verso ovest la linea limpida dei monti, e osservo, a valle, le luci della città. Sono bianche, gialle, arancio. Pulsano e brillano. Sembrano stelle che sorgono dal mare. Secoli fa, mentre mia sorella già dormiva nel seggiolone, mio padre mi portava in braccio qui, prima di mettermi a letto. Ogni sera guardavamo l’abete e i pini, nell’orto, farsi forti e alti, poi raggiungere i balconi e superare i tetti, e provare a eclissare le stelle. Mio padre puntava il dito al vetro, faceva dei nomi. Di là il Pollino. Di qua, dopo le montagne, Paola e il mare blu. Ma le luci bucavano il buio. Sembrano lampare, diceva, e mi spiegava cosa fossero. Se

fai il bravo, una sera andiamo a vederle da vicino. Per me erano attese di felicità, promesse di futuro. Dopo il bacio della buonanotte rimanevano a splendere a lungo negli occhi chiusi.

Poco a poco la mia immagine riflessa si appanna, svanisce dentro il vetro. Mi viene quasi da piangere. O da ridere. Fallito, fallito… fallito. È la punta di un trapano che scava dentro il cervello. Ronza regolare, costante. Poi ho uno scatto di rabbia: agguanto il mio disco preferito, lo metto sul piatto, alzo il volume al massimo. E comincio a urlare contro la luna che non c’è. Contro le luci di Cosenza.

“Be’, eccomi. Sono qui. Cosa volete sentirvi dire?, che altro ancora? Babyblue, non essere così triste. Amici, fratelli, tutti… e stelle lassù che dovete ancora arrivare e pianeti oltre l’universo, ascoltatemi. Non abbiate paura. Babyblue, amore mio, amami, ti prego. E ascoltami. Ascoltatemi tutti! Sono Mister Tamburino. Mister Tamburino sulla torre di guardia, con la sua chitarra scordata e i suoi sogni congelati…

Mister Tamburino suona per voi, per chi non ha sonno e non vuole dormire, per chi non ha più sangue nelle vene…
Sì, io sono Bob Dylan, stanotte! E questa, sotto di me, è la Highway 61!”

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