A futura (im)memoria. Nuove frontiere di educazione criminale

A futura (im)memoria. Nuove frontiere di educazione criminale

Articolo e foto di Martino Ciano

In giorni acuti di associazioni mentali e delinquenziali, il vocabolario social oscilla tra buonismo e giustizialismo. Così le parole docili dei funzionari statali che immaginano un mondo di pace e amore, nonché di presenza massiccia, quasi da dittatura latinoamericana, di tutori dell’ordine, appaiono come il balsamo di certi giochi che evocano trasgressioni borghesi di epoca Vittoriana.

Il modello cangiante della “criminalità liquida”, ormai capace di infiltrarsi nell’anima delle istituzioni, fa sentire rassegnato l’individuo che fotografa falò notturni, scambi di droga a mezzogiorno, vessazioni ratificate attraverso atti deliberatori in cui le norme vigenti sono usate con fantasia. D’altronde, regola scaccia regola.

La delicata questione morale è soppiantata dalla “bella resistenza” dei partigiani della legalità. Intanto, gli ex collaborazionisti scartati dalle Procure si sentono abbandonati. Sono ex amministratori che vogliono uscire di scena al più presto, che vogliono godersi la pensione o un meritato anonimato. Sanno che la loro colpa è solo stata quella di aver spartito la torta secondo i limiti consentiti dalla legge, di aver giocato lungo il confine sottile tra lecito e illecito. Davanti a loro, il cittadino può solo sospirare la migliore delle frasi pasoliniane: Io so, ma non ho le prove.

Cosa hanno fatto di male? Hanno convissuto con il sistema, qualche volta hanno passato l’olio tra gli ingranaggi. Sono solo finiti nelle carte della Procura in un momento di bassa fortuna, non sono neanche degni di nota i processi contro di loro, visto che fanno parte di una spettacolarizzazione della giustizia. Tutti ormai hanno diritto a “dieci secondi” di celebrità, quindi benedetti siano coloro che sanno alzare polveroni.

Cosa resta quindi della pianta sociale? Nulla, le leggi del mercato sono anche quelle della criminalità. Lei sa espandersi seguendo le mode e i tempi. Non sono più imbecilli o analfabeti i nostri “boss”. Se ancora qualcuno di loro alleva porci o pecore, lo fa con fede Zen e seguendo il decalogo del provetto transumanista.

La manovalanza è formata da ragazzi cresciuti “a pane, vizi e solitudine”, autoconvinti seguaci della prevaricazione. Sono consumatori di droga e quindi vendono per farsi “a gratis”; tra una sniffata e l’altra si immaginano tra la California e il Messico. Ci sono anche donne criminali ormai; sono un po’ Cenerentola e un po’ Anaïs Nin; si sentono piene di virilità e se piangono lo fanno per rispondere a questioni di genere. L’anacronismo è necessario. Sono eleganti come gli assassini di professione. Sono artiste mancate, quindi sopperiscono con la criminalità.

D’altronde, un artista è estroverso, contro qualcosa a prescindere e il suo lato “criminale” è socialmente accettato. Ma su tutto questo quando si toglierà il velo?

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