Fortuna di notte. Ugo Moretti… a chi non dimentica

Fortuna di notte. Ugo Moretti… a chi non dimentica

Articolo di Martino Ciano già pubblicato per Zona di Disagio

Capita che in una notte d’estate, girando tra bancarelle che vendono libri usati, si trovi qualcosa di inaspettato. È successo così che il mio occhio sia andato velocemente, come guidato da una luce improvvisa, su Fortuna di notte di Ugo Moretti, edito da Vallecchi nel 1958. Di questo autore romano si sono perse le tracce. Ricordo però di aver letto qualche cenno su un vecchio libro di critica letteraria di Asor Rosa, sul quale studiai per l’esame di Letteratura italiana moderna e contemporanea. Ho fatto delle ricerche, ma niente di soddisfacente, se non qualche nota su Wikipedia. Ho ricavato poco sul suo conto, mentre in termini letterari mi sono trovato davanti a una lettura interessante e ora vado a caccia della sua prima opera, Vento caldo, del 1949.

Fortuna di notte è un romanzo che non ha nulla da invidiare ai capolavori di Moravia e di Pasolini. Moretti è un neorealista, quindi, descrive con accortezza le trasformazioni che stavano avvenendo all’interno della società italiana. Usa un linguaggio schietto, maleducato, per l’epoca al limite della censura. Narra della gente di periferia, della borgata, delle speranze di giovani che lottano la vita. Moretti crea personaggi fuori dagli schemi, moralmente autonomi, distaccati dal moralismo imperante.

Tutto ruota intorno a Carlo, un diciassettenne ingenuo come il Riccetto pasoliniano, che senza porsi troppe domande, aiuta a fuggire dalle forze dell’ordine Edmondo, legato al mondo delle bische clandestine. Per Carlo diventerà un maestro di vita, un faro da seguire, perché capace di avviarlo all’età adulta e di fargli oltrepassare quel confine che separa il sogno dalla realtà. La realtà è quindi il costante confronto con la durezza della quotidianità, il luogo in cui le aspirazioni chiedono concretezza. Tutto il romanzo non si sviluppa solo intorno al ristretto rapporto tra Edmondo e Carlo, ma sono tanti i personaggi che appaiono sulla scena della storia e ognuno di loro è importante. Infatti, non ci sono figuranti in quest’opera; tutti incarnano un ruolo preciso e determinante.

Primavera, il preside della scuola serale frequentata da Carlo, che nonostante il suo atteggiamento socratico accetterà di organizzare all’interno della struttura una bisca pur di pagare i debiti contratti. Girasole, il factotum della scuola, che per dare un futuro migliore ai suoi figli cede alla tentazione di facili guadagni. Augusto, un avanzo di galera che non riesce a redimersi. Intorno a loro, una società italiana in cerca di nuove bisogni e di nuove tendenze, schiacciata dall’eredità del conflitto mondiale.

A me rimane tra le mani un libro dalle pagine ingiallite, ma che profuma di sincerità. Una rilegatura che il tempo non scalfisce, un’impostazione grafica che ne fa un pezzo di antiquariato. Sono i segni di un’epoca felice, nel quale la letteratura era per la gente e viveva tra la gente. Conosco poco di questo autore, ma dopo aver letto quest’opera sono giunto alla conclusione che una scrittura così affilata è frutto di una esperienza sul campo… un immergersi nei luoghi del delitto, della miseria e della amoralità… oggi tutto questo manca.

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