Fai bei sogni. Dedicato a chi ha perso qualcosa, forse tutto

Fai bei sogni. Dedicato a chi ha perso qualcosa, forse tutto

Articolo di Letizia Falzone. In copertina: “Fai bei sogni” di Massimo Gramellini, Longanesi, 2012

“Che disgrazia. Così giovane. Povero bambino. Brutto male. Come se fosse esistito un male bello che ti faceva l’elemosina di lasciarti vivo.”

Un brutto male ha portato via la mamma di Massimo quando lui aveva appena nove anni. Una mezza verità. Perché ci sono verità che ai bambini non si possono raccontare per intero: sono piccoli e non possono capire. Magari un giorno, quando saranno grandi… Ma di quella verità, il piccolo Massimo, inconsciamente, coglie, si avvicina alla metà che gli verrà taciuta per quarant’anni. Nessuno gliene parlerà prima, nemmeno suo padre. Già, suo padre. Un uomo capace di essere severo ma non anche sensibile, non un maschio femmina, ma un “maschio e basta, cresciuto nel mito di due uomini forti: nonna Emma e Napoleone.”

“Una sola volta osai chiedergli quale fosse, in una classifica ipotetica delle disgrazie, la più meritevole del primo posto: la scomparsa prematura di una moglie o di una madre… Mi tenne un discorso molto razionale… dei due chi stava messo peggio ero io, perché una moglie si può sostituire, una mamma no.”

Se c’è un amore per il quale è inconcepibile che possa essere fragile, arrendevole, egoista, è certo l’amore di un genitore per il proprio figlio, e ancora di più quello di una madre.

Fai bei sogni è dedicato a quelli che nella vita hanno perso qualcosa. Un amore, un lavoro, un tesoro. E rifiutandosi di accettare la realtà, finiscono per smarrire sé stessi. Come il protagonista di questo romanzo. Uno che cammina sulle punte dei piedi e a testa bassa perché il cielo lo spaventa, e anche la terra. Fai bei sogni è soprattutto un libro sulla verità e sulla paura di conoscerla.

Al centro della narrazione ci sono le paure, i pensieri e le vicende di un bambino che perde la mamma. Il bello di questo libro è che grazie allo stile fluido e scorrevole, fin dalle prime pagine ci si sente amici del protagonista, che con noi sembra quasi confidarsi. Il velo di tristezza che traspare dalle parole è talmente forte che anche chi non ha vissuto un’esperienza come quella del protagonista soffre con lui.

“Un libro sulla morte” è quello che si potrebbe pensare dopo la lettura delle prime pagine. Be’, bisogna ricredersi quasi subito: il tema di questo romanzo è senza dubbio la forza, forza intesa nella sua forma più nobile, come consapevolezza e maturità. È quando percepisci che tale forza va crescendo nel protagonista pagina dopo pagina che non riesci più a staccarti dal libro e finisci per sfruttare ogni minuto libero per leggere qualche paginetta in più: hai bisogno di questa forza perché profuma di riscatto e di speranza.

È un libro coraggioso nel quale l’ autore mette completamente a nudo i suoi sentimenti, un libro che pochissimi sarebbero in grado di scrivere senza fare la figura delle vittime e attirare su di sé sentimenti di pena o compassione. Nonostante la tristezza infinita che si prova nel “veder” crescere questo bambino senza una mamma e con un padre orso chiuso in sé stesso, la sensazione che questo libro regala è positiva perché si assiste, o meglio si partecipa, ad un percorso di crescita.

La morte precoce di una mamma è vista come un’ enorme ingiustizia dal protagonista bambino che soltanto una volta adulto riesce ad affrontare (da bambino e adolescente era solito dire a tutti che sua mamma era molto impegnata, sempre in viaggio per lavoro).

“Tutti nasciamo con un progetto da compiere e c’è chi lo esaurisce più rapidamente degli altri.” Ecco che il protagonista riesce finalmente a mettere da parte le incomprensioni e le recriminazioni per accettare che “tutto ciò che ci succede è sempre giusto e perfetto”. Quanto coraggio ci vuole per pronunciare queste parole?

Fai bei sogni è un libro sulla paura di conoscere la verità e sulla solitudine. Impossibile non immedesimarsi in questa storia, non sentire almeno una volta la voglia di abbracciare quel ragazzino solo e perennemente inadeguato. Impossibile, infine non soffermarsi sulla pagina del giornale di quarant’anni prima, quella in cui la verità viene a galla e con essa il fatto che in realtà lui l’ aveva sempre saputa, saputa e messa in un angolino del cervello, perché troppo brutta per essere affrontata.

La morale che se ne trae è un incoraggiamento fortissimo: solo accettando la verità e il dolore che ne consegue possiamo essere liberi e davvero vivi. Importante accettare le nostre disgrazie, perché anche loro ci hanno donato qualcosa, e imparare a convivere con i limiti che la vita ci ha posto senza lasciarsi soccombere da essi.

Per il Massimo adulto giunge il momento di guardarsi indietro per l’ultima volta. Ci sono domande per le quali una risposta, dopo tanti anni, non ha più alcuna importanza. Non serve, non più ormai. Perché è tempo di smettere di annaspare in un mare di rabbia e di se. È tempo di lasciare andare. Perdonare e perdonarsi.

Preferiamo ignorarla, la verità. Per non soffrire. Per non guarire. Perché altrimenti diventeremmo quello che abbiamo paura di essere. Completamente vivi.”

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