Esiste o non esiste la Calabria? Intervista a un amico
Articolo di Martino Ciano. Esiste o non esiste la Calabria? L’ho chiesto a un amico, uno dei tanti che se n’è andato. Avrà fatto bene?
Se vuoi trattare alcuni argomenti scomodi non sai a chi rivolgerti. Non hai punti di riferimento. La Calabria è un pozzo nero in cui tutto sparisce.
Così un amico, nonché collega giornalista, che lavora al Nord. Tutto è più semplice fuori dalla Calabria? No, assolutamente. Solo che è più facile indagare, giungere al “dunque”. Qui alcuni argomenti sono tabù. Si dicono sempre le stesse cose, oltre non puoi andare. Sembra quasi che la Calabria non esista, come se non avesse una storia, tutto desta meraviglia e stupore. Cerchi qualche informazione sulla sanità? Uno copre l’altro, o l’uno accusa l’altro, ma solo per gettare fango sul proprio “nemico”, che magari un giorno potrebbe tornare a essere “un utile amico”. Non capisci dove stia la verità, tanto meno qual è la situazione. Gli attori sono sempre gli stessi, cambiano solo schieramento.
In poche parole, per chi ci osserva siamo una regione fantasma, non esistiamo perché ci camuffiamo. Non si capisce chi siano i buoni e chi siano i cattivi. Sembriamo collusi con il sistema, uniti da un unico obiettivo: gestire i panni sporchi in casa propria… e neanche ci riesce bene. È per questo motivo che lì fuori, nel resto d’Italia, ogni cosa che ci riguarda appare come qualcosa di incredibile. Persino quando parlano bene di noi, magari delle nostre bellezze paesaggistiche, qualcuno esclama: impossibile!
Nessuno sa cosa sia la Calabria. Anch’io – continua il mio amico – non sembro calabrese e quando parlo delle mie origini, quando racconto ad altri cosa avviene da queste parti, nel bene o nel male, quasi pensano che me lo stia inventando. Per questo motivo, quelle trasmissioni sensazionalistiche, prive di contenuti, ma che appaiono come “vero giornalismo d’inchiesta” vanno a colpo sicuro quando trattano della nostra regione. Loro non fanno altro che mettere in risalto questo nostro silenzio, questa atavica accettazione di tutto, questa impenetrabilità del nostro sistema.
Parlare male della Calabria è semplice, anzi è facilissimo. Perché?
Perché non dimostriamo di voler cambiare. Il calabrese che fugge dalla sua regione, lo fa perché si sente scacciato. Troppi politici che cambiano bandiera velocemente, che ovunque vanno si portano dietro i loro armadi con tutti gli scheletri. Ma l’assurdità è che tutto questo piace ai più, come se ognuno di loro fosse legato da chissà quale vincolo di fratellanza o di segretezza. La verità però – e lo dice sbattendo il palmo della mano sul tavolo – è che ce ne fottiamo alla grande.
Non stai esagerando? Anche tu sei diventato nordista e pieno di pregiudizi?
Qui non si tratta di essere nordista o meridionalista. Ma dall’esterno sembriamo arrendevoli. Le cose che non vanno sono davanti ai nostri occhi, ma nessuno fa niente. Appaiamo come tanti imbecilli pronti ad accettare ogni promessa. Sappiamo che ci hanno fregato, ma continuiamo a farci fregare. Come ti spieghi il potere incontrastato di alcune persone? Vero è che tutto “il mondo è paese”, ma da altre parti certe situazioni non vengono tollerate così a lungo. Una cosa è accettare un compromesso per quieto vivere, un’altra è lasciare che tutto ti travolga.
Sì, forse hai ragione, ma pensi che ne sia valsa la pena andarsene? Anche tu non ti senti un perdente?
Certo, sono il primo a non aver creduto nella mia regione. Ma so anche che se fossi rimasto, non avrei portato a termine un decimo di quello che ho fatto altrove. La storia della “meritocrazia” in Italia è una bella favola, e lo sappiamo tutti, ma se altrove ci sono le eccezioni, qui gli unici attestati “meritocratici” sono i “premi di paese” che donano anche a quelli che se ne sono andati via di qui, bestemmiando, e di cui poi ci si ricorda. Bene, io questa cosa la chiamo ipocrisia, perché è come se si ammettesse che “prima ti abbiamo preso a calci in culo, ora ti facciamo sedere sul velluto per cinque minuti”. Proprio con questi “attestati meritocratici” è come se si dicesse ai calabresi “vedete lui ce l’ha fatta, ma lontano da qui; fatelo anche voi”.
Dopo due giorni da questa conversazione, avvenuta davanti a un ottimo caffè freddo, il mio amico è partito per tornare al suo lavoro. Ho fatto passare qualche giorno prima di scrivere questo articolo. Appena conclusa la prima stesura l’ho sentito al telefono, gli ho spiegato la mia idea e lui mi ha risposto Fai pure, anzi me lo chiedi come se tu avessi paura di riportare quello che ti ho detto. Forse ha ragione lui! Prima di chiudere la telefonata, mi ha anche chiesto una cortesia: Riporta pure che nonostante qui ci siano trentadue gradi alle nove di sera, io sto mangiando l’ottima soppressata di mia madre… e salutami il mare che io rivedrò a Natale.
E anche questo tuo desiderio, amico mio, è stato esaudito.