Esilio: una riflessione dopo aver letto Pavese

“Esilio, ossia, una riflessione dopo aver letto Pavese” è un articolo di Martino Ciano già pubblicato su Zona di Disagio
Conservo per me le piccole gioie di una riflessione suffragata dal bisogno di evasione che si avverte nei momenti in cui Dio è morto. Non c’è pessimismo nel nichilismo ma disillusione, e disilludersi vuol dire prendere coscienza della realtà attribuendo alle cose il loro nome. Come Adamo possiamo rinominare il creato abbandonato dall’Eterno. La sua assenza è un dato di fatto, solo gli estremisti possono ancora credere nel suo intervento… girano come bimbi fin quando una vertigine non li farà cadere in terra.
Ecco le lacrime delle cose. Tutto è compiuto. Ciò che è mortale tocca la mente.
Siamo pronti per l’esilio.
L’esilio è la scelta suprema di chi non vuole più mettere piede su un suolo che non gli appartiene, è la strada imboccata da chi ha deciso di attraversare la realtà e non le illusioni della fama e dell’approvazione.
L’esilio è la nobile ricerca di un’alternativa che preservi l’individuo dal male collettivo. Gli avvenimenti devono far riflettere ma non scombussolare, ciò obbliga a passare da un’empatia di facciata a un’empatia vera, libera da tutti i formalismi. Chi sceglie l’esilio sa che è un uomo tra uomini con lo stesso destino. Alla morte importano poco le qualità che ognuno di noi si attribuisce, poco le importa di tutto ciò che è stata la nostra vita.
Mortuus est… tutto sparisce in un sol colpo.
L’esilio è il bisogno istintivo dell’uomo di aspirare alla sua salvezza.
Essere impronta di se stesso e non per il mondo che dimentica e cancella tutto.
Un minuto di silenzio per i morti del passato, per quelli recenti, per le vittime degli attentati terroristici. Rimane solo questo… un minuto di silenzio in cui il dolore è assenza di parole, suoni ed emozioni. Eppure, la sofferenza è rumore, scuotimento, tremore.
Ma più che di silenzi avremmo bisogno di risposte. Le chiedeva Pavese, guardate che bella questa sua riflessione.
Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – Dei caduti cosa facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.
Nessuno sa rispondere.
Termino dicendo che nonostante le mie forze né l’esilio, né il nichilismo preservano l’uomo dal dolore. Perché convincervi del contrario? Questa è una riflessione scritta di getto, seduto in poltrona, mentre in tv passa un telefilm poliziesco.
Solo l’ennesima cazzata venuta fuori, così.
Esilio, come fu la vita per Pavese.