Ernesto, medico (neolaureato)

Ernesto, medico (neolaureato)

Racconto e foto di Daniela Grandinetti

Mi chiamo Ernesto, sono in un bosco e ho davanti un uomo morto.

Ho le gambe paralizzate, i piedi infilati in un blocco di cemento, la salivazione assente, il mio organismo sta valutando l’entità della minaccia. Credo di avere un colorito ceruleo, non voglio dire pallido come un morto perché sto in piedi, non agisco, ma posso pensare. Morto è quello lì che mi sta davanti. Ho freddo ma sto sudando copiosamente.

Lo so come funziona, cazzo! Sono un medico, neolaureato, ma pur sempre medico. Queste sono modificazioni fisiologiche del sistema nervoso autonomo. L’ipotalamo in questo momento la fa da padrone, regola le funzioni del corpo. Si è azionato l’ormone delle emergenze, la corticotropina, quello che predispone alla lotta, o quanto meno alla fuga.

Siamo forniti di un sistema di neurotrasmettitori che in simili situazioni regola i livelli della paura. Poi ci sarebbe la razionalità, ovvero ciò che ci suggerisce le opzioni di scelta. Questa però nel mio caso deve essere andata a farsi fottere. Dovrei essere in grado di gestire la paura, perché so che quello che mi sta accadendo: è un cortocircuito del sistema nervoso riconducibile a ciò che gli esseri viventi provano di fronte a un evento spiacevole e imprevisto. Però diciamolo: questa non è paura. Io mi sto proprio cacando sotto.

Ho affittato una casa isolata, ero qui per camminare con la necessità di disintossicarmi e guarda tu in che guaio mi sono cacciato. E quella bella idea di non portare il cellulare, di darsi alla vita primitiva? Ma vaffanculo. Un cellulare in questo momento sarebbe la mia salvezza.

Sul fatto che quello sia morto non c’è alcun dubbio, ma non deve essere un morto qualsiasi, ha un abito grigio, i mocassini di pelle nera, i calzini grigi, al polso ha un orologio imponente, di quelli seri. È riverso in un fosso, intravedo una capigliatura nera, una nuca riccioluta. Deve essere giovane, e secondo me anche bello. Beh… doveva essere giovane perché morto è morto di sicuro. E cosa ci fa uno vestito Armani (non so se sia Armani, ma un vestito pregiato lo è certamente) riverso in un fosso di un bosco?

Ve lo dico io: questo non è venuto per passeggiare, questo o l’hanno ammazzato qui o l’hanno ammazzato prima e poi hanno portato qui il cadavere. Tempistica perfetta: giusto in tempo per farmi in regalo questa scarica di adrenalina.

A ben vedere però propendo per la seconda ipotesi: lo devono aver fatto fuori altrove, sembra pulito, non c’è sangue né tracce di buchi di fuoriuscita di proiettili. Come mi diceva mia nonna? Quando hai paura morditi la lingua, così senti male e la paura scompare. Che teoria del cazzo. Mia nonna era una che diceva un sacco di cazzate, altro che la saggezza dei vecchi!

Non c’è nessuno oltre a me e al morto, si sentono solo versi di uccelli che fino a ieri mi sembravano canti di paradiso, mentre oggi se avessi una carabina li farei fuori tutti. Tacete che siamo all’inferno, cazzo!

Porca miseria. Sono proprio un inetto, stronzo, gelido cacasotto. Mi dovrei muovere, andare a chiedere aiuto. Questo avrà una famiglia che lo starà cercando. Non deve essere tanto che è qui. Toccare non lo posso toccare, che con le impronte non si sa mai. Se vado dai carabinieri potrebbero insospettirsi, sono pur sempre un medico, neolaureato, ma pur sempre un medico. Possibile – mi diranno – che non ha avuto l’istinto di intervenire, di appurarne la morte o di soccorrerlo se fosse stato in tempo? E io che rispondo? Che pur essendo un medico (neolaureato però, non scordiamocelo) sono rimasto paralizzato dalla paura? Rideranno di me, diranno che ho sbagliato professione. E il guaio è che non hanno mica torto.

Da quanto tempo sono qui? Mi sorge un dubbio atroce: ma era morto davvero quando sono arrivato? Magari respirava ancora. O mio Dio, che supplizio! Basta. Devo fare il mio dovere, tornare a casa e dare un allarme.

“Pronto, polizia? Ho trovato un morto nel bosco.” Già prevedo le conseguenze: generalità, deposizioni, si tenga a disposizione, il mio nome sul giornale. No, non sono disposto. Non adesso. E se invece l’avessero appena ammazzato? Se fosse un regolamento di conti? Magari l’assassino o gli assassini sono qua intorno e potrebbero pensare che me ne andavo a funghi per il bosco e ho visto tutto. In tal caso sarei addirittura in pericolo. No, per carità, non voglio problemi. Potrei sempre fare una telefonata anonima dal cellulare: “C’è un morto nel bosco”. Clic. Facciano loro poi quello che devono fare. Ma forse sarebbe peggio. Oggi coi satelliti sanno tutto, ti rintracciano ovunque e comunque. Potrei destare sospetti.

Cazzo cazzo cazzo, ero in cerca di pace maledizione. Sono un medico, anche se neolaureato. Ho avuto un esaurimento nervoso. Mi sto curando, ancora non ne sono fuori. Un medico non può avere un esaurimento nervoso? Mia moglie mi ha lasciato tre mesi fa, dopo sei di matrimonio e un anno di fidanzamento. No, dico, sei. Sei, amico. Sei fottuti mesi, e aggiungo che è stata lei a volersi sposare a tutti i costi. Aveva fretta, lei. Chiunque tu sia, sei bell’è e andato, ma io sto qua a tribolare, a chiedermi come ho potuto essere così coglione. È la vita uno schifo, non la morte, anche se la tua deve essere stata terribile. Però potresti pure essertela andata a cercare, mica si finisce morti ammazzati con il vestito buono in un fosso, così, per niente. Pure tu qualcosa avrai combinato. Io invece ero un marito innamorato e fedele. Una persona onesta e perbene. E lei mi ha piantato in asso per un altro, uno con cui aveva avuto una relazione. Mi ha sposato per ripicca, lui l’aveva lasciata. Non meritavo questa sofferenza che mi ha mandato fuori di testa. Mi ha detto che il matrimonio era stato uno sbaglio, dopo sei mesi.

Uno sbaglio, capisci? E io che non mi ero reso conto di niente. Mi sembrava che finalmente fosse cominciata la vita vera e invece ero soltanto la pedina di un piano: la laurea, la casa, il matrimonio, le prime guardie mediche. Non che mi piaccia fare il medico. Ho studiato medicina per far contento mio padre. Ma ora non importa più. È crollato tutto, dopo che lei se n’è andata. La prima cosa che ho fatto quel giorno è stato scolarmi tutto l’alcool che c’era in casa. Poi c’ho preso gusto a stordirmi. Uscivo solo per comprare alcoolici, poi mi barricavo in quello che avrebbe dovuto essere il nostro nido, staccavo il telefono e davo il via alla festa.

Qui ci sono venuto perché ho cominciato a disintossicarmi. Camminare mi fa bene. Devo stancarmi per non sentire voglia di bere. Quindi caro amico, se tu te la passi male, anche per me non brilla di certo. E sai qual è la differenza? Che tu avrai di sicuro una bella mogliettina che ti piangerà. La mia invece se la sta spassando con lo stronzo che se l’è ripresa. Dovrei starci io al tuo posto, amico, in quel fosso. Sì, dovrei starci io. Tanto per non sentire l’istinto della bestia che vorrebbe uccidere e dimenticare il lupo mannaro che sono diventato.

Tanto vale dirtelo, amico.

Tu sei il secondo che mi è capitato a tiro mentre avevo fame di sangue di uomo. E tu avevi la faccia da bastardo perfetta. Hai sbagliato a darmi un passaggio oggi. Sono un medico, anche se neolaureato, io lo so come ammazzare i bastardi come te, basta un niente. Quello che invece non mi piace è la paura che avverto dopo, quasi fosse stato un altro e non io, e il fatto che adesso debba pulire la tua macchina e pensare dove lasciarla, e poi scavare un’altra fossa e seppellirti. Non mi piace l’idea di te che come quell’altro diventerai vermi che mangeranno le radici, le foglie, le gemme degli alberi di questo bosco. Questo è il mio personale paradiso, quando il lupo mannaro se ne va, riesco a godere la sua bellezza.

Questo, amico, è il posto dove sono venuto a cercare pace.

Post correlati