Era il 25 novembre e quel giorno non pioveva
Racconto di Giuseppe Gervasi
Un tappeto di foglie nascondeva le pietre.
Le ultime resistevano alla furia di Eolo, che spazzava e ricomponeva in angoli nascosti pezzi di vita passata.
Faceva stranamente caldo, nonostante l’autunno.
Le onde del mare viste dalla collina danzavano vestite di bianco.
La Speranza teneva tra le braccia l’intimo diario e la preziosa lettera.
Un peso immane, segreti da svelare e vendette da assaporare, mentre il contenuto della lettera chiedeva pace e perdono.
La mano appoggiò il diario sul comodino dove una sveglia custodiva i secondi di una vita che appariva più lenta.
Ad un certo punto il cassetto, che nascondeva la chiave di casa sua bussò.
Troppo tempo quella chiave aveva atteso nel buio di un vecchio comodino.
Era giunta l’ora di tornare in quella casa, da sola, affrontare il mostro e le sue ombre.
Recuperare quel paio di scarpe da tennis rosse per camminare e riprendere a vivere in un piccolo paese smarrito e impaurito, dal cuore indurito.
La Speranza immaginò ogni gesto e passo in quel luogo.
Capì di non poter più indugiare e – determinata – si smosse da un’immobilità perpetua.
Aprì la porta di legno del bagno e vide la sua immagine riflessa in uno specchio attaccato al muro.
Afferrò il braccio d’alluminio pronto a far uscire acqua calda dai piccoli fori.
Una doccia veloce nel minuscolo bagno, troppo angusto, da perderci il fiato.
Il fumo usciva dalla finestra che dava nelle vie strette e scoscese della piazzetta colorata, mentre le gocce rimanevano attaccate ai fiori delle piastrelle verdi.
Di fronte allo specchio si diede un tocco di femminilità.
Il timore per gli sguardi di paese era scomparso e quella chiave non intimoriva più la giovane donna.
Uscì di casa e con passo veloce e determinato superò il vecchio mercato.
Un tricolore attaccato al muro perdeva l’intensità del suo verde e nelle mani di un bimbo riviveva i colori di un tempo.
La piazza, il corso principale, il grande albero e un abbraccio di vite innanzi al vecchio muro del Comune.
Tutto questo mentre un finto ingegnere beveva il suo bicchiere di latte caldo e il contadino col dito in bocca litigava col povero barista.
Un uomo compilava la solita schedina e un vigile fumava la sua prima sigaretta di giornata, stizzito per un pastore che sfrecciava con la sua moto-ape in barba alla finta severità di un uomo in divisa. Le campane della chiesa annunciavano l’imminente messa e gli sguardi degli uomini al bar scivolavano sul corpo della Speranza come pioggia sul marmo. Quella casa era lì ad attendere i nuovi passi. La chiave nelle mani tremanti cadeva per terra quasi a non voler fare il suo lavoro. Aprire o non aprire? Uno scatto, due scatti e la luce indicò la via. Corridoio stretto, porte chiuse e finestre serrate.
La Speranza si avvicinò al balcone e aprì.
Il sole entrò in quella casa.
Pochissime volte la luce poté entrare da fuori, il buio nascondeva le mostruosità.
Nulla riuscì a fermare la verità e la sua forza.
Anima e amore a sostenerla in un viaggio che stava finalmente per finire.
All’improvviso arrivò la Libertà, una farfalla, bella più che mai e coloratissima, volteggiò fino ad entrare in una stanza, il luogo dove la Speranza aveva pianto in silenzio. Si appoggiò sulle scarpe da tennis di color rosso e attirò l’attenzione della giovane ragazza che piegandosi accarezzò finalmente la sua Libertà e riprendendo tra le mani quelle scarpe fece un lungo respiro.
La farfalla dai mille colori e la Speranza chiusero quella porta, per sempre. L’ultimo sguardo si posò su una foto di una madre perduta, rapido e intenso, condiviso anche dalla farfalla. Innanzi a quell’immagine la Libertà si fermò in volo, sospesa, come se la batteria di un vecchio orologio si fosse esaurita. Il balcone rimase aperto affinché la luce si potesse riappropriare dei suoi spazi per illuminare luoghi nascosti.
Le scarpe rosse e quel rossetto dello stesso intenso colore, segnarono i nuovi giorni della Speranza che con la Libertà decise di tornare a correre, a volare. Era il 25 Novembre e quel giorno non pioveva… c’era il sole.