Elefante e farfalla
Racconto di Wanda Lamonica
Lei si chiama Ilde, diminutivo di Grimilde. Come la perfida matrigna di Biancaneve. Come la Regina cattiva, esperta di magie nere. Con Ilde combatto guerre da una vita. L’ho amata poche volte, l’ho odiata quasi sempre. Se ne sta nel bagno, vicino alla vasca. Immobile, zitta e lungimirante. Carogna, losca e punitiva.
Aspetta tutti i miei passi falsi come una pettegola malefica dietro alla finestra. Va avanti con le mie abbuffate e torna indietro solo se mi metto seriamente a dieta. Ilde è una bilancia e non perdona. È più cattiva di me, ad inchiodare nei punti deboli i più fantasiosi sensi di colpa. Segna ogni sgarro, memorizza ogni eccesso. Lei, strumento di maledizione, di sconfitta, di qualsiasi mio insuccesso.
Triste regalo di un ancor più triste compleanno. Lei, del vecchio tipo, non digitale. Per doverla sentire proprio quando, misurando, vibra di soddisfazione. Nel corso degli anni ho visto fare il tergicristallo, a quella sua lancetta idiota. Destra e sinistra, sinistra e destra. L’ho immaginata persino con una lingua biforcuta leccare da lontano i numeri per lei migliori, quelli con gli zeri. Stuzzicarli ben benino per arrivarci prima. Mi giudica senza sapere. Come la gente, quando è cattiva o non ha niente da fare. Lei non sa, cosa ci infilo io, nel cibo, quando faccio partire un boccone. Quando il mio cervello, gli assegna un compito, una missione, una subdola funzione. Lei non sa quale sia la punizione del giorno o il segreto in più che ho da custodire. La delusione da dimenticare, l’amaro da stordire. Ilde non sa che un biscotto in più, nella pancia, è un altro rospo della vita che voglio digerire. Che all’Università mi chiamano Silvia la Barca. Proprio me, che non so nemmeno nuotare. Ilde non sa che, a volte, un vuoto d’anima abissale diventa una qualunque fame da saziare. Che mi dicono da 23 anni che sono tanto bella dentro e io, questa qui dentro, ad un certo punto, la vorrei almeno vedere. Silvia la Barca, elefante e farfalla. Sarò anche barca ma non temo la profondità del mare. E nemmeno le tempeste, perché so che il sole torna sempre a splendere e l’azzurro del cielo a colorare le giornate delle persone.
Sono farfalla quando sto bene. Quando la vita mi nutre tanto, ma passando prima dal cuore. Ci sono giorni in cui potrei volare. Perché la felicità non ha zavorre e nemmeno catene. Dura poco, ti lascia senza parole. Studio Legge. Forse per imparare a gestire la paura che ho delle persone. Forse anche per farmi rispettare. Negli angoli ci sto molto, molto bene. Seppur stretti, loro mi riescono ad accogliere. Dagli angoli non ci provo mai, a scappare.
Il mio ragazzo dice che mi ama così come sono. Ma da tre giorni si è preso un po’ di tempo per pensare. Il suo tempo per pensare si chiama Gaia ed è bella da morire. “Ilde, dai, preparati, a festeggiare…”
*in foto un disegno di Wanda Lamonica