E poi di più
Racconto e foto di Wanda Lamonica
“Sei felice?”, mi chiedi sollevandomi il mento con un dito.
“Felice…Che parolone, Giovà. La felicità è una cosa grossa. Io sono felice soltanto se per un attimo mi dimentico della realtà e faccio festa per qualcosa. Ho da pensare a tutti, io. Persino quando cade una stella, mi sento in colpa ad esprimere un desiderio tutto mio”.
Giovanni sorride, ma soltanto muovendo la bocca. Lo sguardo è malinconico e non si abbina per niente alla curva dolce costruita sulle sue labbra. Appoggio meglio i gomiti sul parapetto. Davanti a noi, il mare calmo si stende come una coperta azzurra di lana morbida. Di quelle che le nonne adagiano premurosamente sui nipoti ormai adulti che si fermano a riposare dopo pranzo, sui loro divani, quelli con i centrini sui braccioli. Questo belvedere è il nostro posto preferito. Ci siamo praticamente cresciuti, qui.
I primi baci, i brividi nuovi, la conta delle stelle, i soprannomi stupidi. Ci hanno persino messo una panchina, ad un certo punto, forse per farci riposare dalle faticose e continue rincorse verso i nostri assurdi sogni. Da qui, il panorama è meraviglioso. Il molo del porticciolo abbraccia un piccolo spicchio di mare. Le otto barche rimaste ormeggiate tutte ad un solo lato della banchina, mi fanno ricordare la mia Frida quando allattava i suoi cagnolini appena nati.
“Ti preoccupi di tutti, Nannè. Una vita nostra, quando ce la facciamo?”
Sospiro. (Quanto c’hai ragione, Giovà. Ma mica posso dartela, una risposta). Provo a racimolare le parole come briciole di pane sparse su una tovaglia da tavola enorme.
“Quest’anno Lina prenderà il diploma. Farà pure 18 anni. Non ho soldi né per una festa né per l’altra. Mino lavora un giorno sì e dieci no. È più il tempo che passa al bar che a casa. Papà, da quando è morta la mamma, vive su una poltrona. Guarda lontano. Come, adesso, io e te. Ma senza il conforto del mare, davanti”.
Una lacrima lunga è forse più potente? Allora adesso me ne sta cadendo una fortissima che arriva persino a bagnarmi il collo.
“Però non pretendo che tu mi aspetti, Giovà. Le cose così stanno. Ma dal cuore mio non te ne vai. Nemmeno se non ti vedrò mai più. Questo è certo”.
Lo dico con dolore. Un dolore pieno, vischioso, che si appiccica alle corde vocali e non fa più parlare.
“A tuo padre pensiamo noi, Nannè. Lina e Mino sono adulti. Devono vivere la loro vita. Tu, la tua. Io vorrei vivere la mia con te. E tu sei sprecata, Nannè, per non amare, col cuore immenso che hai. Sprecata soprattutto ad amare, un giorno, qualcuno che non sia io. Ora non ti sembra il momento adatto…ma…”
“Ma questo amore è quello giusto, lo so”, gli dico, abbracciandolo forte.
“Quindi mi aspetti?”, chiedo col magone in gola che strozza ogni speranza.
“No. Ti vivo subito. E poi di più”