Marguerite Duras o la ricerca di un significato
Recensione di Antonio Maria Porretti
Laddove la mancanza e l’assenza generano dolore, la scrittura definisce e attesta la presenza di un dolore. Nulla potrebbe rivelarsi più intenzionale e programmatico, quando ci si accosta all’opera di Marguerite Duras. Il suo percorso umano e artistico sono lì a confermarlo ogni volta che si ha l’opportunità di seguire la traiettoria indicata dalle sue ramificazioni esplorative di contaminazione tra letteratura e cinema, o viceversa. Sarà per questo che i suoi scritti rimandano spesso a pellicole azionate da una moviola, come pure ad audio cassette messe in moto dal tasto Play di un registratore.
Nel caso di La Douleur, si tratta di sei testi che in maniera diversa ribadiscono uno stesso concetto, una sola realtà: l’appartenenza a un’unica Europa trasformata in industria di morte dagli orrori e dalle atrocità di una guerra, dove chi aveva creato le camere a gas e chi vi era morto all’interno, erano parte di un’unica e medesima razza umana. Questo è il solo dolore: la responsabilità morale e politica che il genere umano non può evitare di assumersi, in una forma di mistica priva di qualunque Dio.
Marguerite Duras se ne fa discepola, partendo da sé, uscendo da sé, vivendo in un presente inconsolabile, scrivendo di un lutto che abolisce ogni nozione di tempo. Il dato strettamente autobiografico perderebbe di significato, se non si annettesse quello di un’intera nazione: la Francia che riprendeva a germogliare dopo il lungo gelo dell’occupazione nazista. Il rientro dei reduci di guerra e il rimpatrio degli ebrei scampati al genocidio dei campi di concentramento.
Le ore e i giorni che Duras trascorre in coda a uffici, in interminabili anticamere di speranze appese a un esilissimo filo di conferma che il suo Robert sia ancora vivo, che coincidono e riflettono l’angoscia di uno stesso popolo. Presentato sotto forma di diario, il testo eponimo scelto come titolo dell’intero volume, ripercorre quarant’anni dopo dal loro accadimento, i sei mesi che dall’aprile all’estate del 1945 segnarono il tracciato del tormentato ricongiungimento di Duras con Robert Antelme, suo primo marito, deportato a Auschwitz un anno prima.
Ignara della sua sorte, si andava consolidando in lei la consapevolezza di una separazione, di un divorzio che avrebbe posto fine al loro legame, qualora lui fosse tornato. E Robert tornò. E Marguerite gli fu accanto nei diciassette giorni in cui lottò contro la morte, prima che la vita si decidesse infine a riaccoglierlo fra le sue braccia. E fu il tempo della rivelazione: la spietatezza del male, come solo punto di incontro di una umanità che ingloba fra le sue fila e allo stesso modo, vittime e carnefici.
*“Se speriamo di vivere non semplicemente di momento in momento ma realmente coscienti della nostra esistenza, la necessità più forte e l’impresa più difficile per noi consistono nel trovare un significato alla nostra vita.”
Bruno Bettlheim
Da “Il mondo incantato – uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe.”
Universale Economica Feltrinelli.
La versione italiana di “La Douleur” è stata pubblicata da questo stesso editore.