Lungo l’asfalto ingiallito. On my way to Yellow

Un racconto di Napoleone Dulcetti

Mentre l’asfalto scorre sotto le mie spalle sudate, maledico l’aria condizionata che mi congela le narici piene di sangue. Sulla strada per Yellow mi muovo a settanta chilometri orari, immobile su un sedile troppo stretto per i miei polpacci da ex giocatore scarso di calcio a 5.

L’incendio, il quinto questa settimana, brucia gli ultimi pini rimasti a tenere insieme le rocce spaccate e le lingue di fuoco accarezzano la strada facendo scricchiolare i ponti sconsolati a picco sui dirupi maligni del sud. Il fumo penetra nelle gallerie senza luce come un’incursione Longobarda al galoppo.
Fra le bestemmie di un camionista, che si lamenta, e il mio dito medio alzato contro i sorpassi della morte in curva pericolosa, esco vivo dal primo tunnel di parolacce. Finalmente un rettilineo: sessanta chilometri orari.
Sulla destra dei ciclisti inglesi fermi in un piazzola osservano il mare…
Why is it so blu down here?

Uno di loro scatta foto di stupore mentre sua moglie lo guarda inorridita.
Sulla sinistra un cinghiale gonfio di vermi sonnecchia e lecca l’asfalto, ieri non c’era, mentre la pelliccia di un gatto si elettrizzata al sole, c’era già sei mesi fa, e così quella parte di strada è un ritrovo per animali sperduti che amano scappare dai boschi in fiamme per lanciarsi verso la velocità.

Incrocio lo sguardo del primo bullo a cui ho modificato il setto nasale, sento ancora il sangue caldo sulle nocche. Una mamma urla verso lo specchietto retrovisore, suo figlio salta e getta soldatini di piombo dal finestrino, un mio vecchio amico sorride alla figlia mentre canta canzoni in francese, un camionista mangia un panino dal quale grondano pezzi di salame piccante.
Rallentare! Andiamo a passo d’uomo, il traffico di accaniti ricercatori di salsedine si ingrossa verso l’uscita della felicità.

Oggi fa caldo, più caldo di ieri
yè umido come ama dire mia nonna,
ngé chinu d’acqua a fora, forse è per questo che i turisti gettano bottiglie di plastica bagnate dai finestrini della vergogna. Una colpisce l’asfalto e rimbalza verso le grinfie di un trattore che la fa esplodere, il tappo colpisce un vecchio contadino che con molta naturalezza continua ad urinare sulle frasche bruciate, mentre si asciuga la faccia sudata con la camicia quadretti rossi e neri.

Copriti, porco grida una signora dal finestrino e lui dallo spavento si sporca gli stivali che ripulisce subito con il sudore della camicia.
Porco!
Si riparte più spediti, cinquanta chilometri orari
Yellow 6 km

Straordinario scoprire quante cose si riescono vedere a questa velocita:
una donna si trucca impregnando le sue labbra di viola elettrico, una ragazza scoppia i brufoli che le ricoprono la fronte imbrattando il finestrino di acne, un pompiere appeso all’albero si sporge tenendosi al tronco e, sbracciandosi, richiama l’attenzione di un canadair sbiadito, una vipera attorcigliata al guard-rail si struscia per spegnere il fuoco che le ha divorato mezza coda, un paninaro accoltella una salsiccia sulla griglia mentre sua moglie spruzza del ketchup sulla faccia di una cliente che grida Solo maionese solo maionese.

E così fra una carcassa a bordo strada e una busta di spazzatura lasciata ad abbronzarsi Yellow appare. Tra le curve bucherellate e rettilinei pieni di paglia abbandonata dai trattori si intravede lo scheletro del suo corpo schiacciato sul mare.

Why is its name Yellow? Chiede un biker russo al poliziotto che gli sta consegnando una multa per eccesso di velocità. Un turista passa accanto con il volto affondato sulla cantina lacerata dal vento, è vestito così male da far scappare via anche i lupi più affamati che di solito scendono dalle montagne per brucare la carne fra la lana e il pelo degli animali lasciati a pascolare sui dirupi del dimenticatoio.

Yellow, si chiama così perché come un fungo velenoso è spuntato dal nulla dopo che un soldato Americano durante la liberazione inciampò su uno squarcio nel terreno. Questa crepa allargata a mani nude prima, e a suon di dinamite dopo fece emergere un’antica miniera d’oro in disuso.

That’s gold, gold,gold! Gridò l’americano gettando via i cadaveri degli schiavi che i Goti all’epoca lasciarono seppelliti nella fossa per nascondere la miniera agli invasori Longobardi.

E così, da quel tesoro e da quelle ossa lanciate ai cani nacque Yellow. Si cominciò ad estrarre così tanto oro che i minatori si trasferirono definitivamente lì. Nonostante la ricchezza le case spuntarono a casaccio, ma quella manna era così preziosa che la città doveva crescere. Le raffinerie e le fabbriche proliferarono e le polveri sottili delle industrie che lavoravano e fondevano l’oro avvolsero tutto, coprendo di giallo ogni cosa. L’americano costruì dei filtri che canalizzarono quelle nuvole in grandi pozzi il cui liquido venne utilizzato per tingere. Da quel giorno le vernici per dipingere furono gialle, il metallo fu giallo, i grattacieli furono smaltiti di giallo, i piatti, le tazzine del caffè, i preservativi, le bottiglie di vetro e di plastica, i fucili, le case in legno, le panchine sul lungomare in mattonelle gialle, la cocaina, le cartine di sigaretta, le barche a vela, i marciapiedi, i sedili dei cinema e dei teatri, i lampioni, le pagine dei libri, i tessuti, le minigonne e i tanga, l’inchiostro dei tatuaggi, i cartelli stradali, le strade storte, le siringhe, tutto yellow. Riciclare, adattare, progresso, compromesso, future.

That is why It was called Yellow, stupido! Rispose il poliziotto.

Così tutto il giallo venuto fuori dalla quella tomba rese celebre il paese. Prima che l’oro finisse si estrasse così tanto metallo che il suo colore si diffuse anche sulle strade limitrofe.

Poi l’oro finì. Adesso quel giallo sgargiante si è sbiadito, come i conti in banca dei cittadini, si sta infatti cercando di cambiare nome in Yellowish (Giallastro) o in Old Yellow per mitigare la triste circostanza.

La città si è però adattata alla sua fine e attorno a quella miniera una certa economia, quella del “campa oggi che forse domani un po’ di erba crescerà” ha mandato aventi le baracche che ora predominano sui palazzi ancora integri.
C’è il mare, si farà turismo disse un parente dell’ex soldato Americano. E così fu, si investì male ma si fece turismo, fra diaspore e periodici ritorni Yellow resistette.

Ci siamo, finalmente
Benvenuti Yel °°°°
La scritta è ormai illeggibile, rassegnata fra i canini del sole.

Mi aspetta il blocco X della stazione ferroviaria. La sua vernice è ancora in ottime condizioni e le crepe disegnano sorrisi interminabili sulle pareti della speranza. Pochi minuti per salutare i miei colleghi e gettarmi su un treno. Controllore capo.
Manca poco, c’è traffico, siamo fermi.

Un signore si aggiusta la cravatta e piange via i debiti che lo stringono di notte, una donna si spoglia, getta via gli abiti casual e indossa vestiti da ballerina di lap dance, un ragazzo urina in una bottiglia di plastica, due cacciatori attraversano la strada inseguendo un cinghiale, il canadair sbiadito ci sfiora scomparendo fra nuvole nere, il caldo aumenta.

Apro il finestrino accarezzo il calore dell’asfalto, è più giallo ora, Yellow è sotto di noi.

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