Donnarumma all’assalto. Ottiero Ottieri e la storia del Sud che è ancora tra noi
Articolo di Martino Ciano, già pubblicato su Zona di Disagio. In copertina: “Donnarumma all’assalto” di Ottiero Ottieri, edizione Giunti
Dopo aver letto Donnarumma all’ assalto, libro di Ottiero Ottieri, pubblicato alla fine degli anni Cinquanta, posso dire che nulla è cambiato. Qui si farebbero ancora carte false per un posto sicuro in cui vengano garantiti tutti i diritti. E anche se le famiglie non sono più numerose, anche se il numero degli “istruiti” è aumentato, anche se la povertà materiale ha lasciato spazio a forme più sofisticate di inedia, il Sud rimane sempre paralizzato nel suo ricercar-favori, nella sua meritocrazia-del-nome, nella sua volontà di arrangiarsi, nell’atavica paura di morire di fame.
Spariti gli ultimi echi di solidarietà e di una società che si riconosceva con il proprio dialetto e con le sue consuetudini-costituzionali, ecco che la balorda emancipazione del meridionale ha reso la sua “questione” una barzelletta per i “neo-borbonici”, ma in alcun modo ci si è liberati del fantasma della povertà. L’incubo del meridionale è di tornare a dormire tra le bestie, su un materasso ricavato dalle foglie di granturco. Il meridionale sputa ancora sulle bellezze paesaggistiche, che in passato ha cercato di modellare a proprio piacimento con il cemento, perché per “lui” la natura è sempre traditrice e chi tradisce non merita rispetto.
E la malavita non è ancora un problema. Essa incarna la tradizione, ossia, valori di mutuo soccorso e di giustizia sommaria; che poi tra questi “onorevoli” si nasconda un avido capobastone, be’ non è colpa del sistema, ma di quell’onorevole che ha tradito tutti. Questo è il ritratto dell’infame. E chi parla contro la malavita, certe volte la giustifica nei piccoli gesti quotidiani, solo perché quei comportamenti non sono contemplati nei codici penali. E io che sono meridionale, che vive in terra-calabra, posso dire che ancora tutti aspettano un “cavaliere” che salvi la dama imprigionata, che liberi il mondo dal drago cattivo, che governi con la propria voce tutti gli spiriti che abitano l’invisibile.
Il romanzo di Ottieri racconta di questo psicologo del nord, mandato nel profondo Sud per selezionare i futuri dipendenti dello stabilimento “Olivetti” di Pozzuoli. Il metodico settentrionale si imbatte in questi “diseredati” che lottano per il lavoro, per una vita migliore, per sfuggire alla fame. Donnarumma è uno di questi, il più rozzo, il più meridionale, quello che vuole entrare in fabbrica senza rispettare la procedura, senza presentare la domanda, senza passare per la roulette dei test. Lui è spinto dalla necessità dello stomaco e dall’orgoglio del suo status. Lui non chiede, lui vuole. È un suo diritto lavorare perché “la fame giustifica tutto”.
Ma lo psicologo s’innamora anche di questo popolo, di questo meridione anarchico, che odia il metodo e l’abitudine, mentre sa vivere con fantasia. E sebbene oggi tante cose siano cambiate, il succo è rimasto lo stesso. Non sappiamo se sia un bene o un male. Ora c’è una Pandemia, bisogna parlare di altro, ma una cosa è certa: di questo meridione non si racconta più se non utilizzando i soliti stereotipi.
Al sud tutto è movimento. Non esiste il sud, ma i Sud che solo chi vi risiede sa fotografare, sa vivere e troppe volte riesce ad accettare. In questo caso, “accettare” non vuol dire arrendersi all’evidenza o essere immobili, semplicemente significa guardare con occhio critico, penetrare questo muro di cemento armato che necessità di essere compreso in ogni sua “briciola”, con l’intento di scoprirne il punto debole su cui intervenire… intervenire silenziosamente per salvare il salvabile.