Don DeLillo, Zero K, Einaudi

Recensione a cura di Martino Ciano – già pubblicata su Gli amanti dei libri

Tutti vogliono possedere la fine del mondo

Inizia così l’ultimo libro dello scrittore americano Don DeLillo, un’opera destinata a diventare un classico. L’autore statunitense non ha bisogno di presentazioni, è stato riconosciuto come un’icona del post-modernismo; ha venduto milioni di copie e nel corso della sua carriera ha sbagliato davvero pochi colpi.

Per chi vi parla, Zero K è sembrata l’evoluzione di Rumore Bianco, altro libro capolavoro di DeLillo, pubblicato nel 1985. In quel caso l’ossessione del protagonista era la morte, in quest’opera, invece, l’uomo vuole liberarsi di essa, sfruttando la scienza e la tecnologia. L’ibernazione diventa un mezzo di redenzione e un momento in cui il continuum psico-fisico attende il risveglio. L’attimo prima del congelamento non è altro che l’ultimo stadio del vecchio uomo.

DeLillo gioca molto su questi aspetti, inserendo tra le pagine i punti cardine della cultura americana.

Ross Lockhart è un gigante della finanza, un uomo che si è costruito da solo. Finanzia un progetto messo in campo da Convergence, un’azienda tecnologica con una futuristica sede segreta nel deserto del Kazakistan. Gli scienziati di questa strana corporazione promettono di conservare i corpi e le coscienze fino al giorno in cui potranno essere risvegliati e guariti da ogni malattia. In poche parole, gli uomini riceveranno l’immortalità.

Ma il protagonista del libro è Jeffrey, il figlio di Ross, che oltre a leggere qualcosa di folle in questo strano progetto, sfrutta l’occasione per ricostruire il rapporto con il padre.

Questa la trama di Zero K, ma ora dobbiamo scendere nel profondo dell’opera, nel non scritto. Saltano subito davanti agli occhi gli stratagemmi usati da DeLillo per spiegare il sottile confine che separa la vita dalla morte, come questo possa essere conquistato dall’uomo e come la società post-moderna stia provando a debellarlo.

Ve ne cito uno.

DeLillo dedica molte pagine a un particolare momento, quando Ross Lockhart svela a Jeffrey, la storia del suo cambio di identità. Ross Lockhart, infatti, non è il suo vero nome, ma ha deciso di cambiarlo perché quello precedente non era adatto al mondo degli affari. Lo scrittore americano piazza questa chicca in un punto preciso del libro, in cui richiama la tradizione cabalistica. Nell’antico testamento, infatti, c’è sempre un collegamento tra il proprio nome e il destino.

Di elementi del genere ne troverete parecchi. Di qui, la volontà di DeLillo di costruire un romanzo universale in cui la parabola dell’uomo viene descritta in maniera esaustiva. La vita e la morte, la parola e il destino, il logos e il pensiero di Dio, in questo caso, dell’uomo-dio.

Un libro entusiasmante, da leggere senza remore.

Post correlati