Silvana Grasso: l’intreccio tra l’inevitabile e l’inaspettato in “Distìno”

Silvana Grasso: l’intreccio tra l’inevitabile e l’inaspettato in “Distìno”

Articolo di Gerlando Fabio Sorrentino. In copertina un particolare di “Distìno” di Silvana Grasso, Edizioni ETS, 2018. Seguici e iscriviti anche sul canale WhatsApp: https://whatsapp.com/channel/0029VaDWcN25EjxzoWoAJu05

Il racconto “Distìno” di Silvana Grasso rivela la sua natura sapientemente articolata in una dovizia di sfumature linguistiche e culturali, intrecciate in un suggestivo mosaico che evoca allo stesso tempo la profondità della tradizione e l’innovazione dell’arte narrativa contemporanea.

Sin dal titolo, questo termine, intriso di suggestioni dialettali diventa un portale attraverso il quale il lettore viene attirato in un universo dove il linguaggio trascende la semplice comunicazione per diventare un mezzo espressivo d’arte.

È impossibile, tuttavia, non notare l’abilità con cui Silvana Grasso mescola questo patrimonio linguistico locale con un’apparente facilità, offrendo un testo che è, in ogni sua parte, una testimonianza della sua vasta erudizione. Le figure retoriche, con cui il racconto è magistralmente adornato, non sono solo un’esibizione di virtuosismo stilistico, ma funzionano come collante tra le radici culturali dell’autrice e il mondo antico che ha insegnato per anni con passione.

Silvana Grasso affronta qui il tema delle apparenti debolezze trasformate in punti di forza. La bassa statura della protagonista e la conseguente ridotta dimensione delle sue mani e braccia diventano il suo asset più prezioso. L’autrice sottolinea la singolarità e l’unicità di ogni individuo attraverso questo dettaglio fisico, dimostrando come ciò che può sembrare una limitazione possa trasformarsi in un dono inaspettato. Grazie a queste stesse mani, la protagonista, un’apprezzata e conosciuta levatrice di animali, possiede un’abilità insuperabile nel suo campo: riesce con una precisione e una delicatezza ineguagliabili a intervenire in parti complicati, offrendo sollievo e speranza alle bestie gravide.

Mentre il fisico della protagonista la penalizza in alcuni aspetti della vita, la sua mente matematica le offre una libertà e una capacità di percezione che vanno ben oltre la norma. Il suo acume intellettivo è quasi tangibile: i lettori possono quasi immaginare la ruota dei numeri che gira rapidamente nella sua testa, calcoli aritmetici che si risolvono con una precisione e una velocità stupefacenti. Questi momenti, descritti con maestria, diventano quasi una danza mentale, un balletto di cifre e operazioni matematiche che la protagonista padroneggia con una grazia inaspettata.

Il vero cuore pulsante del racconto si trova nella sua disamina penetrante dei pregiudizi sociali e della loro perniciosa influenza sulla psiche individuale. Silvana Grasso, con un’intuitività affilata, affronta la crudele realtà della discriminazione basata sull’aspetto fisico e sulle devastanti ripercussioni che essa può avere sull’auto-percezione e sull’interazione di un individuo con il mondo che lo circonda.

La protagonista, Nanà, nonostante le sue straordinarie abilità e il suo notevole acume intellettuale, non riesce a sfuggire all’ombra asfissiante del pregiudizio. Il suo nome, un’ovvia allusione alla sua statura ridotta, serve come un costante e pungente monito della maniera in cui la società la vede e la valuta. Questa designazione, imposta forse in modo innocente ma divenuta infine una catena, incarna la riduzione di una personalità complessa e ricca a una singola, ingiusta caratteristica fisica.

La scrittrice ci presenta una Nanà che, in risposta al costante giudizio del mondo esterno, sviluppa una corazza emotiva, una barriera difensiva. La scarsa considerazione che le viene attribuita come essere umano la porta, in un tragico circolo vizioso, a minimizzare l’importanza degli altri nella sua vita. E, in un climax dolorosamente ironico, anche la propria stessa esistenza diventa, ai suoi occhi, svalutata.

Nanà, con le sue innumerevoli sfaccettature, non si limita a subire il destino, ma in un atto di ribellione estrema, sceglie di confrontarsi direttamente con esso. La sua decisione di prendere le redini della propria esistenza, decidendo autonomamente il momento e le modalità della propria morte, è

un’affermazione potente e tormentata sull’agire umano in contrapposizione alle forze incontrollabili della vita. L’autrice affronta così una tematica delicata con sensibilità e profondità, facendo eco alle parole di Albert Camus che sosteneva che “L’uomo è la sola creatura che rifiuti di essere ciò che è”.

In un mondo in cui Nanà ha sofferto di pregiudizi e limitazioni, la sua decisione finale è un grido di libertà e autodeterminazione. Non è una decisione presa alla leggera, ma piuttosto una matura riflessione sull’intera traiettoria della propria esistenza e sulle forze del destino che l’hanno modellata. La morte auto-inflitta non è solo un atto di disperazione ma anche una ricerca di significato, una rivendicazione dell’autonomia personale di fronte all’ineluttabilità della sorte.

Silvana Grasso, con grande maestria, non glorifica la scelta di Nanà né la condanna. Piuttosto, la presenta come l’epilogo di una vita vissuta alle proprie condizioni, di una donna che ha lottato con le incongruenze della società e con il proprio fato.

L’atto simbolico di Nanà di commissionare una tomba altissima, a due piani, aggiunge un ulteriore strato di complessità al racconto. Questa scelta non è un semplice capriccio o una voglia di grandiosità postuma, ma piuttosto un ulteriore segno di come Nanà, sino alla fine, sia determinata a ribaltare le aspettative e le percezioni altrui. La tomba, quindi, diventa il mezzo attraverso il quale Nanà vuole che il mondo la veda finalmente in tutta la sua grandezza, non fisica, ma spirituale e caratteriale.

La statura minuta di Nanà, che potrebbe facilmente diventare un simbolo di debolezza o limitazione, viene trasformata da Silvana Grasso in un catalizzatore di crescita interiore. Come se ogni centimetro che le manca in altezza venga compensato e moltiplicato in profondità di spirito, in capacità di introspezione, in brillantezza mentale. E in questo, c’è una sorta di alchimia narrativa: la sottrazione corporea diventa un’addizione per l’anima, la fantasia, la logica e, soprattutto, lo spirito d’iniziativa. La “sottrazione” fisica si rivela paradossalmente come una fonte di abbondanza per altre dimensioni del suo essere.

Il fatto che Nanà, nonostante le avversità e i pregiudizi, sia riuscita a raggiungere un notevole benessere materiale è una testimonianza del suo spirito indomito e della sua capacità di adattarsi e prosperare. Il suo successo non solo sfida le aspettative della società, ma evidenzia anche l’incongruenza intrinseca di una comunità che, da un lato, la ridicolizza per le sue caratteristiche fisiche e, dall’altro, ne riconosce implicitamente il valore attraverso il successo che ottiene

Nella sua analisi dettagliata delle variabili e delle incognite legate alla progettazione del suicidio, Nanà si immerge in un esercizio di probabilità, calcolando ogni possibile esito e ogni potenziale errore. Questo processo, ben lontano dal fornire sollievo, rende la sua decisione ancora più complessa. La frustrazione crescente di Nanà culmina in una ricerca ossessiva per una soluzione che sia matematicamente inattaccabile. La natura stessa del desiderio di Nanà di sfidare il destino, ora complicata dal desiderio di perfezione e precisione, si svela come una rappresentazione amplificata dell’eterna lotta con l’incertezza e il controllo.

Silvana Grasso introduce una svolta inaspettata nella narrazione con un episodio di uxoricidio, tramutandolo in un punto cruciale per la crescita interiore di Nanà. L’incomprensione della comunità riguardo al delitto diventa per Nanà non solo una conferma dell’ubiqua cecità umana, ma anche un lampo di illuminazione per la sua propria ricerca personale. La comunità, nella sua apparente inettitudine a discernere la verità, dà vita a un’esplorazione del concetto sociologico dell'”omertà” o dell’ignoranza volontaria. E in questo vortice di negazione e apatia, Nanà intravede una soluzione.

La sua risoluzione di cercare un marito non per amore, ma come strumento di autodistruzione, è una delle sfaccettature più provocatorie e tormentate del racconto. È un’inversione radicale dell’archetipo matrimoniale, sottolineando il desiderio di Nanà di controllare il proprio destino attraverso mezzi del tutto originali.

Il brillante ribaltamento dell’idea tradizionale di matrimonio, che di norma rappresenta un nuovo inizio e la creazione di una nuova vita, in “Distìno” diventa un mezzo per porre fine alla vita.

L’ironia sottesa a questa scelta è palpitante. Silvana Grasso gioca con l’idea del matrimonio non come un’unione di anime, ma come un patto con la morte.

A tal fine introduce un ulteriore elemento che complica e arricchisce la trama: l’incontro con un uomo che, pur essendo l’antitesi di Nanà, si inserisce perfettamente nei suoi piani. Con un occhio acuto per i dettagli e un’intuitiva comprensione della psicologia umana, viene delineato questo nuovo personaggio che, nonostante la sua ingenuità e mancanza di intelligenza, diventa uno strumento cruciale nel disegno di Nanà.

L’uomo, Gerlando, descritto come esteriormente affascinante ma chiaramente limitato in molti aspetti, è un interessante contrappunto alla figura di Nanà. Mentre lei è piccola e spesso sottostimata, ma dotata di una mente brillante, lui è un bel giovane di alta statura, ma manca totalmente della profondità e dell’acume che contraddistinguono la protagonista.

L’ironia della situazione, una donna che cerca la morte attraverso il matrimonio e un uomo che cerca consolazione e stabilità, è espressa con superba sottigliezza. L’intricato groviglio di “Distìno” si infittisce ulteriormente con l’introduzione del tema della morte come mezzo di profitto, allorché il sopravvissuto si nutre delle spoglie del defunto. Si delinea così un ambiente in cui la morte diventa un’opportunità di guadagno e il lutto una condizione di accresciuta potenza. Il lutto, di solito una circostanza di grande dolore e introspezione, per Gerlando diventa una circostanza di rinnovamento. La scomparsa di sua sorella, e più tardi quella di Nanà, diventano occasioni di accrescimento personale e materiale.

In “Distìno”, emerge con forza anche l’elemento della seduzione attraverso i sensi. Se tradizionalmente la seduzione è legata all’eros e alla passione fisica, nel racconto si manifesta attraverso un canale differente, altrettanto potente e primordiale: il cibo.

Nanà, nonostante la sua statura e una corporatura non convenzionalmente attraente, dimostra che la vera seduzione non risiede solo nelle curve o nelle proporzioni del corpo. La seduzione, in questo caso, diventa un’arte culinaria, un rituale che si attua attraverso il cibo e l’atmosfera domestica. Questo le permette di legarsi a Gerlando, riempiendo il vuoto lasciato dalla scomparsa della sorella di lui.

La casa diventa un luogo emotivo, costruito da routine, familiarità e comfort. Gerlando, avvolto dalla nostalgia del legame perduto con la sorella, trova in Nanà un riflesso di quella perdita. Lei, astuta, sa come manipolare questi sensi, offrendo a Gerlando un surrogato di ciò che ha perso.

Quest’uomo rappresenta la quintessenza di chi vive seguendo la corrente della vita senza mai tentare di cambiarne la direzione. Questa accettazione del destino, quasi fatalista, si coniuga con una sorprendente capacità di adattarsi alle circostanze, di vedere e sfruttare le opportunità anche quando sono avvolte in ambiguità morale.

Nanà, con la sua intelligenza acuta e la sua determinazione, è certamente la forza dominante nella relazione. La sua percezione di Gerlando come di un “inetto” e un “parassita” sembra derivare non solo dalle sue osservazioni dirette, ma anche da una profonda intuizione sulla natura umana. Tuttavia, la sua tolleranza verso lui non deriva da un semplice senso di superiorità o pietà, ma da un calcolato riconoscimento del valore che egli può avere per i suoi progetti.

Allo stesso tempo, Gerlando, pur essendo descritto come docile e quieto nella sua esistenza, rappresenta una figura di contrappunto essenziale nel racconto. È gentile e buono d’animo e aiuta perfino nelle faccende di casa. Parla poco e solo se interrogato. Il suo apparente disinteresse per il mondo esterno, con l’eccezione del cibo e dell’amato clarinetto, è un rimando al suo rifugiarsi in confortevoli rituali e abitudini come meccanismo di difesa contro un mondo che lo ha spesso mortificato.

Nel prisma narrativo di “Distìno”, Silvana Grasso costruisce un intricato labirinto in cui il destino non soltanto domina ma, in maniera quasi ludica, si fa beffe delle aspirazioni e delle strategie umane. La premeditazione con cui Nanà disegna ogni particolare della propria uscita di scena è a un

tempo tragica e ironica, esemplificando la perpetua lotta dell’essere umano contro l’inafferrabile e sfuggente natura del destino.

La profondità con cui l’autrice esplora questo dualismo tra volontà umana e prepotenza del caso si snoda attraverso una narrativa che non punta dritto alla conclusione ma, piuttosto, si sposta sinuosamente tra gli interstizi dell’inesprimibile e dell’inaspettato. La pianificazione meticolosa di Nanà viene contrapposta alla svolta imprevedibile che la trama subisce, esaltando con maestria la dicotomia tra intenzione e realizzazione, tra progetto ed esito.

L’abilità narrativa di Silvana Grasso risiede non solo nella sapiente costruzione di personaggi e intrecci, ma anche nel sottolineare, con elegante perspicacia, come il destino tenda sempre a scavalcare, in modo spesso ironico, i più raffinati disegni umani. Gerlando, figura apparentemente marginale, emerge quasi come un simbolo dell’inconsapevolezza e dell’accidentalità con cui il destino opera, dimostrando che, nonostante la nostra perenne lotta per imporre una logica agli eventi della vita, siamo sempre soggetti alle sue beffe e alle sue sorprese.

La grande domanda che Grasso sembra porci non riguarda tanto il se e il come possiamo eludere il destino, ma piuttosto il perché di una tale impresa. È in questo “perché” che si cela la vera essenza del racconto, un viaggio nel profondo del desiderio umano di lasciare un segno, di non svanire nell’oblio.

Gerlando, d’altro canto, ci mostra un altro volto della medaglia: quello dell’abbandono al flusso della vita, un esistere spensierato che, nella sua ingenuità, si rivela, involontariamente e beffardamente, più sagace della calcolata astuzia di Nanà.

“Distìno” diventa un delicato inno alla complessità umana, uno sguardo tenero e al contempo implacabile sulla nostra incessante ricerca di significato in un universo apparentemente indifferente alle nostre aspirazioni e ai nostri sforzi. E così, Silvana Grasso ci sussurra l’umile verità: che il vero protagonista delle nostre storie non siamo noi, ma quel vento invisibile e inafferrabile che ci spinge, a nostra insaputa, su un percorso che non possiamo né vedere né comprendere fino a che non ne abbiamo percorso per intero la lunghezza.

E mentre le ultime note del clarinetto di Gerlando si disperdono nel vento, ci ritroviamo, con una dolce malinconia, a contemplare la poesia nascosta nelle imperfezioni della vita, rimembrando che ogni destino, per quanto inaspettato, porta con sé una melodia unica e irripetibile, che risuona eterna nel tempo e nelle nostre storie.

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