Desiderio. Prima parte

Desiderio. Prima parte

Racconto di Giuseppe Gervasi. Illustrazioni di Sabrina Alì

L’inverno come un vecchio amico era tornato. Il freddo, i camini fumanti e le famiglie nelle loro case al calduccio. Due piccoli bambini sognavano la neve e seduti vicino al camino giocavano con la luce del fuoco, allontanando con le manine le capriole di fumo.

“Papà dici che stanotte nevicherà?”.
“Credo di sì bambini”, rispose papà che abbracciando mamma continuò a leggere il suo libro. I bambini continuarono a giocare sino a quando si presentò il primo sbadiglio e anche il fuoco perse il suo calore. Lavarono i denti, indossarono il pigiama colorato, diedero il bacio della buona notte a mamma e papà e via sotto le coperte. La neve rende magica la stagione fredda, per questo è amata dai bambini.

Gli alberi, i tetti e le strade si vestono di bianco, il colore dei fanciulli. Quella notte il piccolo Gabriele non riuscì a dormire e passò tutto il tempo con il viso incollato al vetro della finestra. All’improvviso un fiocco ghiacciato, stava nevicando.

“Matteo, Matteo, svegliati, è arrivata la neve!”.

Matteo, stropicciandosi gli occhi per il sonno corse verso la finestra e disse: “Papà aveva ragione, bisogna sempre credere ai nostri genitori”. Infreddoliti e felici andarono a dormire, impazienti che facesse giorno. La neve aveva imbiancato tutto, le luci del giardino crearono un paesaggio fiabesco e un piccolo gatto delicatamente passeggiava, lasciando le impronte delle sue zampine sul manto bianco. Il suono della sveglia, le palpebre si aprirono e Matteo si svegliò. “Ma cosa fai già vestito?”, si rivolse a Gabriele che lo fissava impalato accanto al suo letto.

“La colazione è pronta, sbrigati!”.

Insieme scesero in cucina attirati dal profumo dei cornetti caldi. Un buon bicchiere di latte con dei biscotti e la nutella al cioccolato rese dolce il risveglio, così ebbe inizio la giornata di gioco.

Un bacio a mamma e via in giardino a scoprire la neve. Papà dormiva e coccolava i giorni brevi del Natale. Il sole già alto nel cielo, solo senza le nuvole, riscaldava la neve caduta dappertutto. I piccoli la videro e la toccarono per la prima volta, rimasero senza fiato. Su e giù a correre, piccole nuvole di fumo uscivano dalla bocca e le guance rosse ed infuocate di Gabriele fecero sorridere Matteo.

“Facciamo un pupazzo di neve?”, propose Matteo.
“Wahoo! Mi piacciono i pupazzi di neve”, rispose Gabriele.

In un punto del giardino realizzarono una grande palla di neve, il pancione del pupazzo era pronto. Fecero una palla più piccola e l’appoggiarono sopra l’altra, la testa era sistemata. Faceva freddo e la neve in poco tempo diventò ghiaccio.

“Servono gli occhi, vai in casa a prendere il peluche che l’altra sera si è bruciato cadendo nel fuoco”, disse Matteo.
“Corro, prendo delle vecchie maglie di lana che mamma e papà non usano più”.
“Lo dobbiamo vestire, avrà tanto freddo!”, esclamò Gabriele premuroso come sempre.

Correndo velocemente perse l’equilibrio e cadde nella neve, per un attimo scomparve ma subito dopo si rialzò e corse dentro casa. Passarono una decina di minuti e Gabriele, appesantito come un asinello, uscì con un vecchio scatolone colorato pieno di roba che grande com’era gli copriva il viso.

“Ecco, ho tutto quello che serve, il peluche, vecchie maglie di lana e un servizio di piatti colorati che mamma non usa più”. I grandi occhi neri del peluche bruciato al centro della testa, un piccolo piatto blu elettrico come naso e un pezzo di stoffa rossa per bocca. Un cappello azzurro con una striscia blu e un’altra di color argento, la sciarpetta al collo, le braccia ai lati, altri piatti rossi e blu di mamma a ornare il pancione. Ultimo tocco, le scarpe di color azzurro.

“Finito, è bellissimo!”, strillò gioiosamente Matteo.

Gabriele era felicissimo e col pollice all’insù si mise in posa. Mentre lo guardava ebbe l’impressione che gli avesse strizzato l’occhio e aperto bocca come a salutarlo. Non disse nulla a Matteo per paura di essere preso in giro. Il pranzo era pronto e mamma più volte aveva richiamato i fratellini che fecero finta di non sentire. Alla fine decisero di rientrare, mangiarono velocemente e subito tornarono in giardino. Si erano affezionati a quel pupazzo e sentivano già di volergli bene.

“Senti Matteo, devo dirti una cosa, credo che il pupazzo muova gli occhi e parli”.

Matteo non si meravigliò delle parole di Gabriele, anzi, confermò pure lui di averlo visto strizzare l’occhio e salutare. Decisero di non dire nulla ai genitori e di mantenere il loro segreto. Iniziò a fare buio ed era tempo di rientrare. Ad un tratto dalla bocca del pupazzo si sentirono delle parole: “Bimbi, bimbi, ho paura del buio non lasciatemi da solo!”.

Matteo e Gabriele non credettero ai loro occhi e meravigliati si rivolsero a lui: “Ma tu parli? Incredibile!”.

“Si, voi mi avete dato in dono la parola, la vista e l’udito, ho esaudito un vostro desiderio ma adesso mi dovete aiutare, ho paura del buio!”.

Matteo non appena sentì quella tenera confessione corse nel magazzino sotto casa e prese una vecchia torcia.
“Usa questa, quando avrai paura premi questo bottone e si accenderà una luce, hai capito? Noi andiamo dentro casa è tardi!”.
“Menomale, mi tremavano già i denti dalla paura, a domani piccoli amici”, li salutò e il pupazzo nascose la torcia sotto il cappello.

Il sogno continua…

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