Dentro lo specchio nero. Nuove tecnologie per una realtà invecchiata
Articolo di Gennaro Lento
La riflessione nacque qualche tempo fa, mentre assistevo ad uno spettacolo di alcuni artisti di strada ad una festa di paese. Ero incantato a guardare un uomo vestito da fachiro mentre sputava fuoco dalla bocca, forse irretito da immagini provenienti da qualche evento analogo avvenuto nel mio passato e impresso nella memoria. Ricordo l’atmosfera sospesa e il brivido di eccitazione che mi teneva incollato a quella visione. Ad un certo punto, staccando per un attimo lo sguardo dal mangiafuoco, mi accorsi con una certa inquietudine di essere circondato da una fungaia di cellulari sollevati al cielo, intenti a riprendere la scena mentre i loro proprietari cercavano di sbirciare lo spettacolo tra un braccio alzato e l’altro.
Rimasi di sasso. Che senso aveva registrare il reale per rivederlo magari il giorno dopo, perdendosi l’evento nel momento stesso in cui avveniva? Era più importante imprimerlo nella memoria di plastica e metallo del device, piuttosto che in quella organica del proprio cervello?
Questa considerazione apre la via ad una domanda cruciale: quanto è diventato necessario l’utilizzo delle nuove tecnologie nelle nostre vite e quanto crescerà ancora?
La questione è interessante nella stessa misura in cui inquieta, perché ci consente di aprire uno squarcio sulla superficie della nostra esistenza per osservare i meccanismi che la regolano dal di dentro. Soprattutto, ci permette di intravedere le colonne portanti del futuro e di come funzionerà la vita negli anni a venire.
Probabilmente molti di voi hanno visto Black Mirror, una serie in onda su Netflix che parla degli inquietanti legami tra uomo e tecnologia, mostrandoci un futuro distopico che minaccia di diventare reale nascosto dietro lo specchio oscuro di uno schermo spento, che riflette impietosamente noi stessi e l’evoluzione della società umana.
In uno degli episodi della terza stagione, Nosedive, si ipotizza l’esistenza di un social così evoluto da diventare un innesto corneale, dove ogni nostra azione viene continuamente esaminata da noi stessi e dagli altri in maniera positiva o negativa attraverso un apprezzamento da una a cinque stelle. La somma di tutti questi giudizi diventa una sorta di rating della nostra persona visibile a chiunque. In questo universo l’unico modo per avere successo è quello di piacere a tutti, operando una continua soppressione della propria personalità per cercare di essere popolari e simpatici, seguendo una Way of Life in cui l’apparenza è l’unica cosa che conta. Se qualcuno ce lo chiedesse, probabilmente la maggior parte di noi risponderebbe che questo tipo di socialità sarebbe uno stravolgimento assoluto del nostro modo di vivere, totalmente svincolato dalla realtà e immerso in una dimensione virtuale così pervasiva da portare all’alienazione e all’infelicità.
Ma siamo sicuri che sia così?
In realtà basterebbe fermarsi un attimo a guardare la realtà che ci circonda per accorgersi, in maniera assolutamente nitida, che già adesso le nostre vite sono quasi completamente affidate ai device, custodi di ogni tipo di informazione su di noi, dalle più importanti a quelle più banali. Una porzione notevole della nostra esistenza codificata in un fascio di impulsi elettrici. In pratica, una vera e propria scatola nera.
Un esperimento interessante è quello di fermarsi in un qualche luogo ad alta densità umana per osservare gli altri da un punto di vista neutro, capace di restituire una fotografia chiara e immediata dei comportamenti consolidati. Andate in un centro commerciale e piazzatevi in un angolo da dove poter scrutare il maggior numero di persone mentre passeggiano lungo le gallerie. Immediatamente vi accorgerete che la stragrande maggioranza degli individui, che siano da soli o in compagnia, ha una mano occupata da un cellulare e che molti di questi lo utilizzano mentre camminano, per scattare selfie, fare telefonate, scrivere messaggi o ascoltare musica dalle cuffiette.
Dopo qualche minuto vi renderete conto della disinvoltura con la quale queste persone utilizzano i loro device, come se fosse del tutto normale stare in mezzo ad una moltitudine di propri simili e restare per la maggior parte del tempo chiusi in una bolla personale senza sfiorarsi realmente mai.
È un’immagine potente. Ed è raccapricciante.
Dunque, c’è ancora qualcuno pronto a negare che praticamente quasi tutta la nostra socialità passa attraverso uno strumento tecnologico? C’è qualcuno pronto a giurare di non essere coinvolto in questa specie di allucinazione di massa? E, in definitiva, siamo proprio sicuri di non essere dentro un episodio di Black Mirror?
In fondo, anche adesso, da quale mezzo state leggendo queste parole?