“Dell’anima e delle parole”. Quattro domande a Riccardo Mondo

“Dell’anima e delle parole”. Quattro domande a Riccardo Mondo

Articolo e intervista di Martino Ciano

Psicologo e saggista, Riccardo Mondo ha pubblicato ultimamente anche un romanzo, ossia “Il mare non mente mai”, edito da A&B Editrice. Ma c’è anche un particolare, lo studioso catanese ha avuto la possibilità di confrontarsi con James Hillman, il famoso psicologo e filosofo americano di estrazione junghiana. Insomma, a lui ho posto le nostre quattro domande, ma dalle sue risposte possiamo estrapolare mille riflessioni. Buona lettura!

L’uomo conserva in sé una propensione all’autodistruzione, una volontà di morte misteriosa. Possibile che tutto questo si riversi anche sull’ambiente? O semplicemente l’uomo sta vivendo un secondo complesso, quello di Prometeo?

Nella Teogonia di Esiodo, Prometeo, da te giustamente chiamato in causa, dona all’ uomo l’intelligenza, che lo distinguerà da tutti gli altri animali, ma insieme a essa lo dota di quello spirito titanico – che appunto significa andare oltre ogni limite – che è alla base del suo istinto distruttivo. L’essere umano è il più potente predatore presente sulla faccia della Terra, non c’è dubbio. La nostra straordinaria evoluzione tecnologica e il controllo quasi totale che esercitiamo sull’ambiente e sulle altre specie viventi ne è una chiara dimostrazione. Basti pensare che con un semplice clic, tu puoi ora scegliere tra una vastissima gamma di organismi animali o vegetali, con i quali stasera organizzare una deliziosa cena. La nostra è una predazione oltremodo raffinata, evoluta, che permette di esercitare la sua potenza senza nessun coinvolgimento diretto nei gesti, che però hanno grandi conseguenze a inimmaginabili distanze. Questa perdita di prossimità predatoria ci rende inconsapevoli delle nostre azioni e ha conseguenze devastanti per il pianeta. Posso predare senza il limite fornitomi dalla mia originaria condizione animale, posso comprare e consumare senza nessun controllo. La pulsione di morte, come la definì Freud, esercita il suo dominio sull’uomo, quell’istinto autodistruttivo sempre in azione, tramite il consumo compulsivo, ci spinge a dissipare le materie prime del pianeta. L’anima del mondo è sofferente.

Nel tuo romanzo “Il mare non mente mai”, pubblicato per A&B Editrice, c’è una balena che vuole salvare il mondo. Ma come tu scrivi: l’inconscio è come il mare. Quindi tutti sguazziamo in ciò che desideriamo inconsapevolmente?

La balena è il mammifero più grande del mondo e tra i più misteriosi, capace di una vita sociale molto articolata, presenta comportamenti tuttora pieni di significati inesplorati e misteriosi, come i suoi canti con i quali comunica con i suoi simili a distanze inimmaginabili per il nostro udito. La balena è l’animale perfetto per descrivere l’ambivalente rapporto che abbiamo con la natura. In questo momento dei volontari lottano strenuamente per salvarne una spiaggiata su qualche riva chissà dove, mentre nello stesso tempo delle baleniere le cacciano strenuamente malgrado le moratorie internazionali che lo impedirebbero. Che animale straordinario! Vive nel mare solcandone le profondità abissali, ma è costretto ad emergere sempre alla sua superficie perché respira aria come tutti noi. E se il mare con la sua profondità è la metafora per eccellenza del nostro inconscio, la regina del mare ci sguazza dentro mentre noi viviamo ancorati alla sua superfice. Pensa che buffo, noi quando guardiamo il mare ne osserviamo solo i confini, inconsapevoli di ciò che accade nelle sue profondità. Allo stesso modo siamo superficiali nello sguardo che volgiamo a noi stessi, ai nostri stessi desideri. La Psiche è profonda, e come dice Jung: la Psiche non è in me, io sono nella Psiche. Per questo motivo il titolo del mio romanzo è “Il mare non mente mai”, perché, come l’inconscio, ti ributta sulle rive della nostra coscienza tutto il ciarpame che vi cacciamo dentro.

Hillman scrisse un saggio illuminante dal titolo “Il codice dell’anima”. È una visione nuova di vedere la psicologia, sembra quasi anti-scientifica. Forse dovremmo sentirci più prossimi all’anima che al corpo? O l’una guida l’altro?

Mi piace che tu ricordi il lavoro del mio amico e maestro James Hillman. Con lui, abbiamo parlato a lungo davanti a un buon caffè di questa sua visione, sviluppata in tutta una vita di ricerca, che sintetizzata in quel meraviglioso libro che è Il codice dell’anima. Avvalendosi di una linea che si rifà alla tradizione del mondo greco, lui sviluppa la teoria della ghianda per esplicitare le potenzialità che ognuno porta in sé, che riunifica spirito e materia che spesso nel mondo contemporaneo sono scisse in uno scientismo materialistico e in uno spiritualismo disincarnato. Noi siamo come la ghianda che contiene in sé tutte le potenzialità dell’albero, compreso le sue storture. Pertanto, dobbiamo ricercare la nostra interezza umana, fatta di psiche quanto di materia, di bene e di male, inestricabilmente connesse. Ed è quello che fa il protagonista del mio racconto, il dottor Sottile, che ritrova nelle profondità di se stesso il più acerrimo nemico della balena Camilla, ossia  il baleniere Nero, prototipo di ogni Capitano Achab che alberga dentro di noi.

La normalità che ognuno dice di volere è solo un’espressione soggettiva ed egoistica? D’altronde il mondo è anche l’altro, ma questa banale affermazione è la più difficile da comprendere. Sei d’accordo?

La vita è relazione, tutto il resto è relativo. Conoscere è scoprire che l’Altro lo ritrovi dentro te stesso. Ma fare i conti con l’alterità che la vita ci consegna non è mai semplice, non è mai qualcosa di normale. La scoperta è ogni volta un’epifania che rende la vita speciale. Al contrario, la normalità deriva da norma e la stessa significa anche regola, che è uno strumento di misura. La normalità è necessaria per valutare la frequenza dei battiti cardiaci, per considerare l’altezza di un individuo. Rispettare la norma sociale è giusto perché noi siamo animali politici, come diceva Aristotele, e dobbiamo onorare la comunità alla quale apparteniamo con dei comportamenti che non ledano il bene collettivo. Lì abbiamo ancora bisogno di valutazioni che indichino la normalità. Ma la normalità diviene una bestemmia se è utilizzata per indicare la complessità e l’ampiezza dell’animo umano. Se pensiamo alla bellezza in un’opera d’arte, la critica peggiore che potresti farle, osservandola, è quella di definirla normale. L’anima non è mai normale, la sua presenza ci stupisce sempre nelle sue apparizioni e serve a trasportarci sui sentieri di una vita ricca di immaginazione.

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