Davanti Er Colosseo
Articolo Valentina Ciurleo
Uno stornello romano, canzoni famose, un grande classico: “Roma Capoccia di Antonello Venditti”.
Il testo della canzone, scritta nel 1972, è un vero e proprio inno a Roma.
“Vedo la maestà der Colosseo,
vedo la santità der Cupolone,
e so’ più vivo, e so’ più bono, no, nun te lasso mai,
Roma capoccia der monno infame”.
La costruzione, voluta da Vespasiano e conclusa sotto il figlio Tito, dell’Anfiteatro Flavio – poi Colosseo perché eretto proprio lì dove si trovava la colossale statua di Nerone – ebbe inizio nel 70 d.c e fu aperto al pubblico nell’80 d.C. Emblema della città di Roma, rappresenta la massima espressione costruttiva degli antichi Romani in materia di anfiteatri per i giochi circensi. Nonostante il logorio del tempo e una guerra mondiale che ha ferito l’Urbe, ancora oggi il Colosseo raccoglie su di sé l’attenzione dei milioni di turisti che ogni anno visitano l’Anfiteatro Flavio e i resti della grandiosa opera che fu.
Tra memorie passate e presenti
Chi ti ha conosciuto bene tra le mani, nella forza e nel vigore, scatta alla mente un passaggio antico come i tempi. Marcus Attilius era un uomo libero che decise di intraprendere la carriera di gladiatore per pagare i debiti. Al gladiatore vittorioso dunque spettavano il benessere e il successo, ma dopo tante battaglie vinte spettava il congedo, spesso rifiutato perché il successo era era come una droga al prezzo della vita stessa.
Stamattina ho visto un tipo davanti alla strada con un borsone nero, tuta nera e cappellino in testa. L’urgenza non la conosci eppure la fretta riassume la forma comune, sfumature reali: persone, cappellini, trolley e le famose macchine fotografiche. Ci sono estati da non raccontare, in fondo la questione delle partenze è chiara, dietro questa programmazione che rende schiavi di un rituale, improvvisare è la vera forza. Respirare questo passaggio, salire per qualche punta, cerco fini memorie che hanno lasciato.
Una città costruita su misura, su ogni singolo monumento appare una ricorrenza, oppure una dimenticanza. Arrendersi, deglutire, l’intera solitudine; le mancanze mi hanno istruito più delle presenze e forse è questo “largamente” il vero approccio umano. Camminare nel pezzo condiviso.