Kaputt e l’Occidente raccontato da Curzio Malaparte
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Articolo di Martino Ciano. Foto di Wikipedia. Articolo già pubblicato su Zona di Disagio
Kaputt è la seconda guerra mondiale; è il tramonto dell’Occidente. Kaputt è la fine di un’epoca che non tornerà più; è un punto e a capo.
La storia è un susseguirsi di eventi che possiamo studiare e interpretare, ma che non possiamo comprendere a pieno. Ci sono accadimenti che vanno necessariamente vissuti. Curzio Malaparte è stato uno di quelli che si è trovato lì, in mezzo alla guerra. L’ha vista e l’ha raccontata.
Tutto gli è parso grottesco, al limite della realtà; eppure, quella era la realtà.
La Finlandia, la Polonia, l’Ucraina, la Romania, l’Italia, la caduta dell’Europa. Lui ha visto ogni cosa; ha conosciuto i protagonisti di quella disumana tragedia. Nessuno come Malaparte ha saputo descriverci Frank, governatore della Polonia, nazista elegante, amante della musica, artista incompreso, uomo nobile, ma capace di imbracciare un fucile e sparare su un bambino ebreo.
Nessuno come Malaparte ci ha lasciato una immagine così forte del principe delle SS, Himmler, beccato completamente nudo e mentre fa a botte con alcuni dei suoi uomini in una sauna finlandese, solo per procurarsi un po’ di piacere.
Nessuno come Malaparte ha ritratto con maniacale perfezione Galeazzo Ciano, amato dalle donne, incapace di prendere decisioni, così sincero da odiare apertamente Mussolini.
Nessuno come Malaparte ha saputo raccontarci delle ragazze di Soroca, giovani ebree imprigionate in un bordello, che dopo aver regalato ore felici ai soldati, vengono portate nei pressi di un fiume e fucilate.
Nessuno come Malaparte ci ha raccontato di Pavelic, capo del nuovo stato di Croazia, dittatore che vuole fare il bene del popolo, ma che ama cavare gli occhi ai suoi nemici. Occhi che conserva in un paniere; occhi che tutti scambiano per ostriche.
Questa è la guerra, questa è stata l’Europa del secondo conflitto mondiale. Kaputt è il non senso che diventa realtà; è una contraddizione. Malaparte è un cinico? No, è solo stato un testimone che ha raccontato le cose così come le ha viste.
Eppure, nel 1931, questo scrittore e scomodo giornalista, oggi dimenticato dalle masse e dai critici, profetizza la catastrofe nel breve saggio Tecnica del colpo di Stato. Malaparte intuisce che la conquista del potere è ormai una questione tecnica. Non servono le cosiddette condizioni favorevoli, quali il disordine sociale, la povertà o un generale malcontento, per dar vita a una rivoluzione. No! C’è bisogno di una buona tattica. Il nostro Curzio comprende che anche le democrazie più solide non sono al sicuro. Infatti, l’errore delle democrazie parlamentari è l’eccessiva fiducia nelle conquiste della libertà.
Basta guardare a Trotskij, Mussolini e Hitler; quest’ultimo prende il potere in Germania dopo due anni dalla pubblicazione del libro, nonostante Malaparte metta in guardia i tedeschi dalla tattica dei nazisti.
Per il nostro Curzio, insomma, tutto è molto semplice. Mentre i vecchi uomini di potere pensano a difendere i palazzi statali dalla rivoluzione, i nuovi dittatori ribaltano la situazione con poche persone ben addestrate che occupano le sedi della tecnica, attraverso cui lo Stato funziona; ossia, radio, telegrafi, acquedotti, fabbriche, stazioni ferroviarie.
In poche parole, nell’Europa moderna, lo Stato è una macchina.
Il libro di Malaparte fu criticato dai gerarchi della rivoluzione russa; Mussolini lo vietò in Italia e fece perseguitare lo scrittore; Hitler lo fece bruciare nella piazza di Lipsia. E tutto questo avvenne non perché il nostro Curzio avesse detto delle castronerie, ma perché diceva la verità. Una verità così scomoda che i dittatori ne ebbero paura.
Malaparte ha compreso prima di tutti che la rivoluzione non è più qualcosa di ideologico, ma materia di studio per la nascente ingegneria politica. La seconda Guerra mondiale, infatti, è stata una guerra tecnica. La tecnica non ha colore politico, non ha cuore e non ha pietà.
L’eccessiva fiducia nella tecnica porta sempre al Kaputt.