Creature selvagge. Jack Halberstam e il disordine del desiderio
Recensione di Martino Ciano. In copertina: “Creature selvagge. Il disordine del desiderio” di Jack Halberstam, Minimum Fax, 2023
Incontrollabile, al di là di ogni ordinamento, capace di spezzare il dialogo tra significato e significante. Il “selvaggio” ci viene presentato così da Jack Halberstam, direttore dell’Institute for Research on Women, Gender and Sexuality della Columbia University.
Non è una categoria dello spirito ma qualcosa che, più o meno rimosso o peggio ancora sepolto nel nostro essere, ci lega ancora al regno animale, al quale apparteniamo ma da cui vogliamo prendere così tanto le distanze. Tramutatosi in pregiudizio da utilizzare in chiave “colonialista” per separare la società in civilizzata e da ammaestrare, il selvaggio si è mostrato proprio in quei comportamenti violenti messi in atto dai conquistatori e dagli esploratori.
La separazione tra “buono e cattivo”, “nero e bianco”, “schiavo e libero” è espressione di una categorizzazione “dello stereotipo del selvaggio” che ha prodotto “le violenze dei civilizzatori, le fantasie o la fascinazione omoerotica verso ciò che era considerato animalesco”. Halberstam ricerca questi elementi in libri come Cuore di tenebra di Conrad, ma anche in produzioni artistiche recenti.
Si concentra sulla letteratura e la filosofia queer, ma non tramuta il tutto in una separazione rigida tra categorie, tipica del nostro modo di pensare. Anzi, giudica questo processo di catalogazione il fallimento dell’intero discorso. Infatti, “il selvaggio”, che potremmo paragonare a sommi capi a una forza dionisiaca, capace di creare e distruggere, è nella nostra essenza, quindi è parte di noi. È un elemento semprevivo che si manifesta quanto più ci adoperiamo per la sua rimozione dal nostro patrimonio.
Ma come detto, Halberstam non fa una separazione tra “noi e loro”, ma ricostruisce l’intera “fenomenologia del selvaggio”, toccando anche gli aspetti contemporanei. Si pensi anche all’amore per gli animali domestici, al transumanesimo; essi sono tutti processi che creano e mantengono in vita quell’appartenenza a un mondo selvaggio dal quale l’uomo prova a slegarsi. Ciò che viene chiamata emancipazione assume più la forma di un lavoro di rimozione.
In questo contesto, gli animali domestici diventano “protesi che prolungano l’umano”, che creano una zona di mezzo in cui si produce la zombificazione dell’uomo. Lo zombie, figura su cui l’autore si concentra molto, è al di là della vita e della morte; addirittura, egli è tornato dall’oltretomba per invadere spazi vitali. Questa lettura dell’horror pone la discussione sul campo di quelle forze incontrollabili, come la bestialità, la sessualità nelle sue molteplici forme, l’accettazione di un caos primordiale, che non può essere rigidamente settorializzato. Il messaggio che Halberstam fa arrivare chiaro e tondo è che tutto ciò appartiene all’uomo.
Un esempio lampante, lo studioso americano ce lo pone con la storia di Roger Casement, funzionario irlandese al servizio della Corona britannica che lottò molto per la fine dello sfruttamento dei neri in Congo. Fatto sta che nel 1916 egli fu impiccato per alto tradimento nei confronti della Monarchia, dopo che venne ritrovato anche il diario in cui Casement annotava i suoi appuntamenti sessuali con i giovani neri.
Halberstam non legge tutto questo in funzione di una “lezione etica o morale”, ma come prova del fascino verso il selvaggio; fascino che riemerge proprio da una comune appartenenza. Di qui, anche la lettura del periodo colonialista attraverso altri romanzi. Insomma, siamo di fronte a un saggio che demolisce molte convinzioni, tramite un processo di decostruzione delle categorie e dei significati che, ancora una volta, ci viene messo davanti agli occhi proprio dalle diverse forme di arte.
Un altro animale che Halberstam prende molto in considerazione è il falco, analizzando tutta la simbologia che si è creata intorno a questo rapace. Ma sono davvero tanti gli esempi che ci vengono posti sotto gli occhi. Il tutto serve per dimostrare, come diceva Foucault, che anche quella macro categoria chiamata “natura” è ormai il nostro metro per separare il mondo in ciò che è “normale” da ciò che “non lo è”. È un discorso che a tanti non piacerà, ma pazienza.